SCALFARI, “IL GRANDE ALBERO DELLE BANDE DI MALAFFARE”

scalfari1Da Repubblica del 18 luglio 2010
di EUGENIO SCALFARI

La ricostruzione fatta ieri sul nostro giornale da Roberto Saviano di come sia nato il falso dossier contro il governatore della Campania, Stefano Caldoro, per impedirgli di candidarsi, è impressionante. È una ricostruzione basata sui fatti e sulla trascrizione letterale delle intercettazioni effettuate dalla Polizia giudiziaria, dalle quali emergono non solo i nomi di chi preparava il fango da gettare sul volto di Caldoro, a cominciare da Nicola Cosentino sottosegretario all’Economia e coordinatore del Pdl in Campania, ma il loro linguaggio, la loro tecnica delinquenziale, la loro disponibilità al malaffare, la rete delle loro relazioni politiche e giudiziarie.
Saviano scrive che guardare a fondo in quella sentina “ti prende allo stomaco”. È verissimo. Mentre leggi quelle conversazioni, ascolti quel dialetto che è l'”argot” di una banda, sei afferrato dal disgusto. Per andare avanti fino alla fine devi fare forza a te stesso. Ti sfilano davanti non soltanto i faccendieri della “malanità” ma personaggi del massimo rilievo politico e professionale, dirigenti del partito di maggioranza e lo stesso leader del Pdl e capo del governo nazionale.Ma se volti le pagine del giornale lo squallido scenario si ripete e addirittura si aggrava. Non è più soltanto la calunnia usata per appaltare un governo regionale al clan dei Casalesi, ma l’assedio ai supremi custodi della legalità: la Corte costituzionale e la Corte di Cassazione. Lo scopo è quello di piegare quei collegi al volere del Sovrano – non a caso definito Cesare nel gergo della banda.

Resta la possibilità di un governo di transizione. A dare le carte in questa partita sarà il presidente Napolitano
I comitati d’affari non sono lì per caso, non hanno invaso una pianta che altrimenti avrebbe avuto radici solide
Il premier e Bossi vorrebbero andare a elezioni anticipate per evitare i danni di un lungo logoramento
Pensare che sia il Capo a bonificare le stalle è come far presiedere a Dracula l’associazione dei donatori di sangue

E si snoda attraverso un continuo “pressing” corruttivo che mette sul tavolo la commercializzazione delle carriere contro la legalità repubblicana.
Qui la “malanità” tocca il culmine, si infiltra al vertice della Suprema Corte, coinvolge giudici costituzionali e membri del Consiglio superiore della magistratura. Dall’altra parte di quel sordido risiko i giocatori sono i massimi dirigenti del partito, quelli che il partito lo fondarono nel 1993 e quelli che ci arrivarono quando già aveva conquistato il potere e poteva essere usato come strumento eccezionalmente utile per soddisfare appetiti privati favorendo la nascita di bande, di Cricche, di svergognate massonerie del malaffare. Marcello Dell’Utri e Denis Verdini sono i punti di riferimento di questa losca architettura criminogena che occupa da mesi, anzi da anni le Procure di Roma, Firenze, Perugia, Milano, Palermo, Caltanissetta, Reggio Calabria, Napoli, L’Aquila e il procuratore antimafia Ilda Boccassini. Intercettazioni durate anni, effettuate da Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza che spesso si sono imbattuti in colleghi insospettabili e insospettati che giocavano su due o tre e perfino quattro tavoli, depistando, avvertendo, consigliando. Questa è la melma che sta montando, il puzzo che emana dai palazzi del potere alimentando la sfiducia e l’indifferenza antipolitica degli italiani.

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Voglio qui citare un brano dell’articolo di fondo pubblicato dal “Corriere della Sera” di giovedì scorso e firmato da Massimo Franco, una delle firme più importanti di quel giornale.
Scrive così commentando le dimissioni di Nicola Cosentino da sottosegretario all’Economia: “È come se nella penombra del grande albero berlusconiano si fossero annidati segmenti di società che usano il governo come guscio dentro al quale ingrassare i loro comitati d’affari. Si tratta d’un problema che sarebbe ingeneroso considerare un’esclusiva del Pdl. Ma anche per il modo con cui reagisce, la coalizione berlusconiana tende ad apparire più coinvolta di altri. La difesa a oltranza dei suoi esponenti chiamati in causa nelle inchieste, la sovraespongono fino a schiacciarla su una questione morale che ha delegittimato la Prima Repubblica e che alla lunga non può non logorare l’attuale”.

Franco è un giornalista avveduto e prudente. Scrisse qualche anno fa un libro su Giulio Andreotti che viene considerato un classico su un tema ed un personaggio così complessi. Dopo questa denuncia in piena regola di quanto sta accadendo, si rivolge direttamente a Berlusconi affinché si svegli dall’abulia che sembra averlo pervaso e spazzi le famose stalle che Ercole riuscì a ripulire come ultima delle fatiche che il Fato gli aveva imposto.

Capisco il valore retorico di quel suggerimento, ma esso nasconde una verità che non può sfuggire a nessuno: i comitati d’affari che ingrassano annidati nel “grande albero berlusconiano” non sono lì per caso, non hanno invaso e inquinato un luogo che altrimenti avrebbe avuto radici solide e fronde verdi e colme di frutti. L’albero berlusconiano è nato esattamente come abitazione privilegiata degli affari di chi l’ha piantato e coltivato con grande e sapiente cura.

Per questo è diventato il guscio dentro al quale ingrassano le bande. Non le correnti, che sono vietate, ma le bande che non possono esserlo perché tutte fanno riferimento al Capo dei capi, tutti se ne disputano il favore, tutti considerano quell’albero come la loro casa naturale.

Pensare e sperare che sia il Capo dei capi a bonificare quelle stalle è come affidare a Dracula la presidenza dell’Associazione dei donatori di sangue. Non funziona perché non può funzionare e far finta che non sia così non aiuta a risolvere il problema.

Noi non siamo massimalisti e non li amiamo, ma siamo consapevoli che i galli e le galline d’un pollaio non possono stringere ampie intese con le volpi e con le faine. C’è una contraddizione di natura che lo impedisce.
Se la legalità è la base dello Stato di diritto e se lo Stato di diritto è la condizione necessaria all’esistenza d’una democrazia, l’obiettivo è quello di recuperare la legalità e lo Stato di diritto. Questo è uno spartiacque che non può in nessun caso essere dimenticato.

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In teoria la Legislatura dovrebbe procedere fino alla sua fine naturale, cioè fino al maggio del 2013. Questo afferma il premier e questo sostiene anche Bossi che è il suo determinante alleato. Molti tuttavia sono convinti che la vera intenzione di Berlusconi (ed anche di Bossi) sia di andare alle urne anticipatamente per evitare i danni d’una troppo lunga fase di logoramento. Naturalmente non basta che la maggioranza si dichiari desiderosa d’un voto anticipato; occorre che si formi un’altra diversa maggioranza.

Quest’ipotesi non è impossibile; potrebbe quindi formarsi un governo di transizione sostenuto da uno schieramento parlamentare che vada da Casini fino alla sinistra, con l’appoggio anche di Fini e dei suoi seguaci.
L’obiettivo dovrebbe essere limitato: cambiare la legge elettorale in senso uninominale, affrontare nel segno della continuità la crisi economica perseguendo l’obiettivo di stabilizzare il debito pubblico e se possibile sostenendo i redditi più deboli e diminuendo il carico tributario su imprese e lavoratori dipendenti.
La Cricca vede una soluzione siffatta come il fumo negli occhi: sancirebbe infatti la sua fine non per via di giustizia ma per via politica. Anche per il Cesare una soluzione del genere equivarrebbe alle Idi di marzo, salvo che non ci sarebbero i pugnali di Bruto e di Cassio ma una semplice evoluzione politica diventata ormai indispensabile.

C’è un solo personaggio nel centrodestra interessato a non interrompere la legislatura anzitempo ed è – o dovrebbe essere – Giulio Tremonti.

Il ministro dell’Economia ha legato il suo nome alla politica europea di stabilizzazione del debito. Un’interruzione traumatica della Legislatura proprio in coincidenza con massicce scadenze di titoli del debito pubblico italiano, potrebbe mettere il Tesoro in gravissima situazione. Dal punto di vista dell’interesse nazionale sarebbe un’avventura estremamente rischiosa della quale sembra strano che Tremonti possa rendersi corresponsabile.
La domanda allora è questa: è ipotizzabile un governo Tremonti senza Berlusconi e senza la Cricca, cui non risulta che Tremonti appartenga? Oppure un governo Monti? Oppure ancora un governo Draghi? E insomma un governo del Presidente, con una maggioranza di “chi ci sta ci sta”?

Questa partita si giocherà probabilmente all’inizio della prossima primavera e chi darà le carte sarà il presidente della Repubblica come prevede e sancisce la Costituzione. L’obiettivo, come ha detto in questi giorni Bersani, è quello di chiudere un ciclo nefasto e recuperare legalità e Stato di diritto, pulire le stalle, disperderne i miasmi, sciogliere i comitati d’affari criminogeni, modificare la zona grigia che fa da cuscinetto tra le mafie e le istituzioni.

Tutti gli altri obiettivi passano in seconda linea salvo quello di non far precipitare il paese in una crisi finanziaria che l’interruzione della Legislatura provocherebbe.

Qui si porrà il problema d’un riscatto della classe politica. Il fondo si è ormai toccato e un’apnea prolungata rischia di provocare la dissoluzione d’un paese.

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