LO PSICOLOGO RISPONDE: QUESTA SETTIMANA SI PARLA DI AFFIDAMENTO

affido1Di Vincenzo Luciani, Psicologo
L’affidamento è stata certamente un’intuizione preziosa per tentare di risolvere in modo pertinente i minori in difficoltà all’interno del nucleo familiare.
Tuttavia la cultura dell’affido è tutt’ora una cultura di nicchia, non fa ancora parte integrante della cultura più ampia della nostra comunità. Non c’è una vera cultura dell’affido semplicemente l’affido rimane ai più una parola sconosciuta, una parola che non ha alcuna risonanza né mentale, né tanto meno affettiva. Si tratta dunque di far crescere ancora di più la cultura della solidarietà, consapevoli che è possibile aiutare i minori in difficoltà anche attraverso le varie forme dell’affido. L’affido nella sua realizzazione concreta contempla una serie di opzioni che per gli affidatari possono comportare un impegno minimo fino ad un impegno sostenuto. Potremmo dire che ciascun affidatario può mettersi in gioco secondo le proprie possibilità.

La promozione della cultura dell’affido è tanto più importante in quanto il numero di minori da sostenere attraverso questo istituto sono sempre di più.
Nel 2008 nella sola città di Torino c’erano 690 bambini che aspettavano di essere collocati presso famiglie affidatarie.
La crisi della famiglia non concerne solo la genitorialità, ma la stessa coniugalità. Come sottolinea Eugenia Scabini, oggi ci troviamo sempre di più dinanzi non alla coniugalità bensì davanti alla coppia, la cui cultura non produce un “noi” ma è fatta del piacere che ognuno può ottenere dal proprio partner, ma senza costruzione di una vera coniugalità. Dunque la famiglia da un luogo di scambio intergenerazionale -dunque come luogo in cui le generazioni adulte costituiscono un punto di riferimento, un riparo, un elemento di crescita e di sviluppo, da luogo di cura responsabile-, diventa un luogo di criticità perché è un luogo dei cosiddetti legami deboli. Tanto è vero che il nucleo familiare può divenire un luogo di maltrattamento, di violenza psicologica, di abusi sessuali….
Contro questo fenomeno oramai delineato, utilizzando lo strumento dell’affido si fa appello a quelle famiglie, a quelle coppie, a quegli individui, che anche attraverso l’istituzione di comunità educative, rappresentano il contraltare delle famiglie in difficoltà. E’ a queste risorse che occorre attingere dopo che per decenni la proposta più ricorrente ai minori in difficoltà all’interno della propria famiglia, è stata quella degli istituti. Credo sia tristemente noto a tutti i danni prodotti dalla istituzionalizzazione dei minori, luogo anonimo in quanto luogo di relazioni impersonali. Non credo sia necessario spendere troppe parole. Ricordo solo che da molti studi condotti in Gran Bretagna e negli Stati Uniti il tasso di minori con psicopatologia si aggirava attorno all’80%. (12% di bambini 0-4 anni).

La scommessa dell’affido è una scommessa forte. Si tratta infatti non soltanto di aiutare il minore in difficoltà ma di permettergli di essere aiutato dagli affidatari in vista del suo ritorno in famiglia: ogni bambino deve crescere ed essere educato all’interno della propria famiglia. Da un lato va aiutato il minore, ma dall’altro va aiutata la sua famiglia di origine. E’necessario che la famiglia originaria possa trovare un nuovo equilibrio che passa in primo luogo attraverso la possibilità che i genitori o il genitore biologico sia in grado di badare a se stesso. Prima di poter essere di giovamento deve essere in grado di sostenersi nell’esistenza.
Perché quello che accade in queste famiglie multiproblematiche è che non c’è spazio affinché il minore possa far posto alla propria soggettività. Il minore non esiste come soggetto di desiderio ma solo come oggetto (di godimento) o oggetto di scarto.

Il bambino è il sintomo della propria famiglia e serve proprio in quella posizione anche se assicura un’omeostasi patologica. Tanto è vero che il bambino si accolla i problemi dei genitori. Pur di “salvarli” si assume le colpe del disagio familiare.
Dunque il loro allontanamento non può che produrre una rottura nel nucleo familiare.
L’allontanamento del bambino è sì un allontanamento fisico, ma non è affatto un allontanamento affettivo e psicologico dalla propria famiglia. Il minore porta con se la sua famiglia interna, la sua gruppalità interna, anche nel nuovo nucleo affidatario
Ed è per questo essenziale che gli affidatari debbano sapere che di fatto, accogliendo un minore, prima che accogliere la sua famiglia reale, accolgono la sua famiglia interna, che è l’unica famiglia che conta per davvero per lui.

Se si vuole diventare persone autorevoli per il minore, occorre tener conto che questo suo mondo interno è comunque il tesoro più prezioso per lui. E’ talmente prezioso che se gli affidatari, anche in perfetta buona fede, volessero proteggere il minore da questo suo mondo, percepito da loro come pericoloso perché fonte del disagio del minore, commetterebbero un errore esiziale.

Gli affidatari debbono saper aspettare che sia il minore ad essere disposto a mettere mano al suo mondo interno, e lo farà tanto più facilmente quanto più alimenteranno in lui il rispetto e l’affetto verso queste figure che popolano il suo mondo interiore.

E’ in questo caso che allora il minore può permettersi, lui, di mettere in discussione la qualità e la modalità dei rapporti familiari e trovare negli affidatari dei nuovi punti di riferimento. (Le ricerche mostrano che i minori instaurano rapporti molto forti attorno ai venti mesi, proprio quando debbono lasciare il nucleo affidatario).

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