Da “La Repubblica” del 1 agosto 2010
di Eugenio Scalfari
SI VOLEVA la prova di quale fosse la democrazia concepita da Silvio Berlusconi e dai suoi accoliti della «cricca»? Ebbene, basta aver seguito i suoi comportamenti nei confronti del presidente della Camera, reo ai suoi occhi di dissentire su alcuni temi importanti e soprattutto sulla concezione, appunto, della democrazia e delle istituzioni che dovrebbero esserne il presidio. Per Berlusconi il presidente della Camera, eletto a suo tempo dalla maggioranza parlamentare di centrodestra, è semplicemente un funzionario alle sue dipendenze che se perde la fiducia del padrone deve andarsene senza fiatare.Questo modo di concepire lo Stato, che Berlusconi ha esteso a tutte le istituzioni nelle quali lo Stato si articola, dal presidente della Repubblica alla Corte costituzionale, alla magistratura, rappresenta una gravissima deformazione della nostra democrazia repubblicana e un continuo attacco alla Costituzione.
L’incompatibilità del premier con lo Stato di diritto era del resto nota da tempo e da tempo denunciata. La rottura con l’ala finiana del Pdl ne ha dato una conferma talmente plateale che non è più possibile ignorarla senza diventarne complici. Quell’incompatibilità costituisce una pregiudiziale che va al di là delle distinzioni tra destra, sinistra e centro. Fino a quando non sarà eliminata il rischio d’un regime autoritario incombente resta di altissimo livello e richiede decisioni dettate ormai dall’emergenza.
Non si tratta di non mettersi l’elmetto, come per tanto tempo e tuttora esortano quelli che si bendano gli occhi per non vedere e si turano le orecchie per non sentire. Si può combattere anche a testa nuda purché si sia consapevoli che il peggio è già avvenuto e non può essere arginato cedendo ulteriormente terreno. Questo hanno scritto nei giorni scorsi Ezio Mauro, Massimo Giannini, Stefano Rodotà e questo voglio anch’io ripetere perché sia chiaro il discrimine tra chi si accuccia sperando non so in quale «stellone» che ci porti in salvamento e chi invece sostiene che il peggio è già accaduto e non ci resta che combatterlo a schiena dritta con i mezzi che la democrazia repubblicana può utilizzare per recuperare la sua essenza e il popolo la sua sovranità confiscata.
Credo che Berlusconi abbia fatto un grave errore scatenando l’attacco contro il co-fondatore del Pdl. Governo e maggioranza si sono cacciati in una sorta di vicolo cieco; l’opinione pubblica che finora gli ha assicurato un largo appoggio assiste sbigottita allo sfaldamento del Pdl. I sondaggi segnalano questo stato d’animo e non sono certo incoraggianti per il Cavaliere. L’errore di Berlusconi ha comunque una causa che l’ha determinato o almeno fortemente incoraggiato. Sono stati infatti Bossi e lo stato maggiore leghista ad incitare il Cavaliere a licenziare Fini ed hanno contemporaneamente interposto una barriera contro ogni ipotesi di aggregare Casini al centrodestra.
Bossi sapeva di rischiare una posta molto alta se Fini e Casini avessero acquistato maggior peso all’interno del centrodestra. Si sarebbe acuita la pressione in favore delle Regioni e dei Comuni meridionali, il federalismo fiscale e la valutazione dei «costi standard» sarebbero diventate questioni di alta criticità; così pure tutta la politica di accoglienza dell’immigrazione. Perciò Bossi ha puntato la sua partita sulla rottura con Fini e sull’irrilevanza di Casini, accompagnando gli incitamenti con la minaccia di cercare per conto proprio altri appoggi alla sua politica. Resta ora da vedere se l’errore sia stato commesso anche da Bossi. La Lega non vuole che si parli di elezioni anticipate fino a quando i decreti attuativi del federalismo fiscale non saranno stati emanati.
Con la sua consueta eleganza Bossi ha risposto alzando il dito medio alle domande dei giornalisti su eventuali elezioni anticipate. Ma il protrarsi della situazione attuale espone l’intero schieramento di centrodestra, Lega compresa, ad un processo di continuo logoramento. Quanto potrà reggere il governo ad una cottura a fuoco lento qual è quella cui Fini e Casini possono sottoporlo graduando con sapienza l’intensità di quel bollore? Un supplizio tanto più tormentoso in quanto non prevede la morte del suppliziato ma lo sfaldamento graduale del consenso fino a limiti minimi. Potranno Berlusconi e la Lega reggere ad un processo di questo genere? Personalmente credo sia impossibile. A quel punto cercheranno la via d’uscita tornando alle urne. La risposta l’avremo non oltre la fine dell’anno.
La richiesta di scioglimento anticipato delle Camere comporta in via preliminare che il presidente della Repubblica verifichi se esiste una maggioranza favorevole al proseguimento della Legislatura. Se questa maggioranza c’è, dovrà indicare il presidente del Consiglio. Ma il capo dello Stato può anche dar vita ad un governo istituzionale che abbia la fiducia del Parlamento, se ritiene che la fine anticipata della Legislatura esponga il Paese a gravi rischi.
Nel nostro caso i gravi rischi obiettivamente esistono e sono di natura economica e soprattutto finanziaria. Scadrà a partire dall’autunno una massa di titoli pubblici dell’ordine di cento e più miliardi di euro che imporranno al Tesoro una gestione tecnica particolarmente oculata e richiederanno al tempo stesso una guida politica che abbia una sua visione degli interessi generali e della coesione sociale.
Passare attraverso una campagna elettorale estremamente accesa e dall’esito incertissimo che dovrebbe svolgersi proprio nell’arco di tempo in cui il Tesoro si troverà al centro di mercati ribollenti e fortemente speculativi significa alzare le vele in mezzo ad un tifone che potrebbe diventare uno «tsunami» catastrofico. Il presidente Napolitano credo sia perfettamente consapevole della pericolosità che la strategia d’attacco di Berlusconi ha messo in moto. Sarà perciò suo diritto-dovere esplorare tutte le soluzioni che evitino un’imprudenza di massimo rischio.
Tutte le forze politiche e sociali che abbiano consapevolezza degli interessi del Paese dovranno fornire pieno appoggio al capo dello Stato creando le condizioni che assicurino successo alle sue iniziative. La condizione numero uno è di evitare le elezioni finché durerà l’emergenza del debito pubblico. Da questo punto di vista gli inviti ripetutamente lanciati da Di Pietro e anche da Vendola alle elezioni anticipate sono – è il meno che si possa dire – irresponsabili e sconsiderati, anteponendo meschini interessi di bottega a quelli reali del Paese. Darebbero di fatto una mano all’irresponsabilità berlusconiana e aprirebbero la strada alle peggiori avventure. È perciò auspicabile che si rendano conto di quale sia la risposta necessaria per evitare un caos politico e uno «tsunami» finanziario.
Bersani propone da tempo un governo di larghe intese. Casini ha detto più volte che in caso di emergenza è disposto a partecipare ad una soluzione di questo tipo. L’emergenza c’è, è in atto e raggiungerà il suo culmine se Berlusconi chiederà lo scioglimento anticipato delle Camere. Ma è del pari evidente che le larghe intese dovrebbero essere estese anche a quei settori del centrodestra che hanno fin qui subito con disagio e frustrazione il dominio della «cricca» all’interno del Pdl. Ce ne sono più di quanto non si creda. Il nuovo movimento di «Futuro e libertà» creatosi intorno a Fini potrebbe calamitare alcuni di quei settori risvegliandoli dall’ipnosi e portandoli ad una piena consapevolezza dei propri doveri civici. Personalità come Pisanu potrebbero svolgere un compito importante di raccordo con altri settori cattolico-democratici. E la Lega?
Bossi ha la responsabilità d’aver rafforzato in Berlusconi la strategia dell’attacco contro Fini. Ma ora vede il rischio che l’errore commesso può creargli per la nascita d’un federalismo che non sia nordista e secessionista ma crei una novità utile per snellire lo Stato burocratico e sprecone di cui la Lega denuncia l’esistenza ma del quale in quindici anni di partecipazione al potere non ha saputo creare né la giusta configurazione né le giuste alleanze per costruirlo.
Anche Bossi ha privilegiato finora la sua ditta rispetto a un’idea nazionale del federalismo. Ma non è questa la strada giusta. La Lega è molto forte nel Nord ma sul piano nazionale rappresenta il 12 per cento del corpo elettorale. Il tanto irriso Partito democratico è più del doppio della Lega e se avesse la grinta e la compattezza necessaria, specie in tempi d’emergenza, potrebbe recuperare nel suo bacino elettorale una parte almeno degli elettori che si sono rifugiati nell’area dell’astensione non per odio contro la politica ma per delusione ripetutamente subita. Il bacino potenziale del Pd è valutabile intorno al 40 per cento, ma basterebbe che ritornasse al risultato raggiunto da Veltroni nelle ultime elezioni politiche, pari al 34 per cento, per dare corpo al centrosinistra e a tutta l’opposizione.
In conclusione, nei prossimi mesi (se non addirittura nei prossimi giorni) si possono verificare tre diversi scenari. 1. Il governo cerca di governare affrontando un lento ma costante logoramento, senza avere né la bussola né più la forza di attuare una politica capace di preparare le condizioni d’un rilancio economico e sociale, e continuando invece a privilegiare gli interessi del padrone e dei suoi accoliti. 2. Per uscire dall’«impasse» Berlusconi tenta l’avventura delle elezioni anticipate. Se riesce nel suo intento il rischio è uno «tsunami» del debito pubblico con i titoli italiani al centro della speculazione mondiale. 3. L’avventurosa iniziativa elettorale viene bloccata e si dà luogo ad un governo d’emergenza con caratteristiche accentuatamente istituzionali che ricordino il governo Ciampi nominato dal presidente Scalfaro nel 1992.
Le persone di buon senso e di sollecitudine nazionale ed europea sanno benissimo in quale direzione muoversi purché trovino il coraggio di metter da parte le proprie botteghe e si assumano il carico di responsabilità che la situazione richiede.