CON BENIGNI ALL’ARISTON L’UNITA’ D’ITALIA SI E’ FATTA A SANREMO

19-02-2011-unitaCompagni,ecco un’altra grande vittoria del proletariato: che, nelle sembianze di un piccolo ometto cresciuto nelle case del popolo della più ruvida terra toscana, è riuscito in un miracolo più mirabile del lancio dello Sputnik. Non solo la conquista di quell’abominevole creatura degli abissi che è il festival della canzone italiana, espugnata dal suo interno,maanche la grande pacificazione nazionale, andata in onda dinnanzi a milioni di italiani. E ricordiamoci, cari compagni, che questo è il luogo in cui Benigni Roberto da Vergaio doveva esser fatto oggetto, anni fa, del lancio di uova marce, questa è l’azienda, la Rai, che non voleva scucire una lira quando andò a dire la sua nel programma di Fazio & Saviano. Oggi si muovono tutti, per il giullare santo e in nome dell’Unità d’Italia, dal Quirinale all’Osservatore Romano, dai vertici Rai maicosì storditi e stupefatti a vasta parte dell’arco costituzionale, dalle televisioni pubbliche a quelle commerciali, tutte unite nel cantare le straordinarie gesta del comico & poeta che giovedì sera è entrato nell’Ariston suun cavallo bianco e sventolando il tricolore. Tutti salvi, nel Sanremo del tramonto berlusconiano. Salvi il direttore di Rai1, il Mazza Mauro, che può segnare nel carnet dei suoi successi uno dei maggiori trionfi d’ascolto nella storia del festival (12 milioni di media, 19 milioni nei picchi, share bulgari oltre il 50%),
salvo il nerovestito direttore artistico della kermesse, il mitico Gianmarco Mazzi (lo stesso che propose di far cantare, insieme a Bella Ciao, sinanche Giovinezza), praticamente santo il prode Gianni Morandi: il quale non solo appone la sua firma all’edizione della grande pacificazione nazionale e si candida a condurre anche l’edizione 2012 del festival, ma scherza coi giornalisti su una sua eventuale candidatura a premier («sono pronto, e avete visto comesono bravo a costruire la squadra…»). E mentre Mazza consegna ai posteri la riflessione più accorata («Quando un attore comico s’incarica il peso e la responsabilità di ricordare la storia e i valori di un paese, vuol dire che il problema sono la classe dirigente e gli intellettuali, ormai incapaci di dire certe cose»), il presidente della Rai, Paolo Garimberti, spera che «non sia una parentesi» l’improvvisa scoperta che qualità, cultura e ascolti possono benissimo viaggiare insieme, e che non è affatto necessario «denudarsi e urlare». Pertanto il Presidente propone che l’esegesi dell’Inno d’Italia versione Benigni venga distribuita in tutte le scuole. Proposta prontamente sposata dal Quirinale: non solo il Capo dello Stato in persona pare abbia telefonato a Benigni subito dopo il suo «numero» all’Ariston, ma pare che dal Colle sia partiti contatti con l’agente di Benigni, Lucio Presta, per discutere della cosa.Sembra che il presidente Napolitano abbia successivamente anche inviato una lettera personale al giullare santo. Tutti felici, tutti contenti, dunque. «È stato geniale», dice il segretario delPdPier Luigi Bersani. «È riuscito a dare un’anima alla ricorrenza dell’Unità d’Italia». In pratica, a parte la Lega, che se la prende con il comico toscano, e a parte qualche altro rumorosissimo silenzio, l’inno nella versione benignesca sembra riunire per una volta il paese lacerato. Lo dice persino l’Osservatoreromano: allora forse aveva ragione Morandi, ieri, nell’evocare «il paese di Don Camillo e Peppone». Et voilà, re Silvio è servito.

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