QUANTO É BELLA LA MIA STAZIONE! I RICORDI DI UN ANZIANO FERROVIERE

Sono in fase di ultimazione i lavori di ristrutturazione della stazione di Civitanova Marche, uno degli scali ferroviari più importanti della linea ferroviaria Adriatica, per cui ho cercato di ricostruire un po’ della sua storia e le migliorie che l’ammodernamento, iniziato da un paio d’anni, hanno determinato.
Quando nel 1966 fui trasferito nella stazione di Civitanova Marche-Montegranaro, ero un giovane Capo Stazione, ovvero dirigente movimento, assunto nelle FS nel 1959, a seguito di un concorso nazionale. La mia prima stazione era stata quella di Iselle di Trasquera, al confine con la Svizzera, appena fuori la Galleria del Sempione, lunga una ventina di chilometri dotata di sofisticati dispositivi tecnologici. Un luogo di montagna bellissimo, in quanto incastonato in una valle ristretta a 633 metri sul livello del mare, ma inclemente sotto il profilo climatico soprattutto per chi non è originario di quei luoghi, per cui si rese necessario, dopo una certa attesa, tornare dalle mie parti, dal momento che la mia residenza era quella di Ancona. Non fu difficile collaborare con i ferrovieri svizzeri dell’attigua stazione di Briga e con quelli dei treni, dal momento che il cambio dei locomotori, per il diverso voltaggio delle linee di contatto, e del personale viaggiante, avviene tutt’ora nella stazione di Domodossola, circa venti chilometri a valle di Iselle. Stazione di frontiera, dunque, vigilata notte e giorno dal personale della dogana italiana e svizzera. Il treno più importante della linea era l’Orient Espress che collegava Parigi con la Turchia.
Quando arrivai a Civitanova mi resi subito conto che la stazione, sotto il profilo del servizio, era impegnativa: blocco semiautomatico per la circolazione dei treni, apparato centrale elettrico a itinerari (ACEI), quattro passaggi a livelli di competenza della stazione, due in zona Esso, uno su via Buozzi, un altro, fra corso Vittorio Emanuele e via Indipendenza, oltre a quello di via Carducci, l’unico ancora esistente, manovrato sul posto dai cosiddetti “guardiani”, ma che faceva ugualmente parte dei dispositivi di controllo della stazione. Successivamente venne attivato il passaggio a livello automatico su via Einaudi. Molta attenzione richiedeva inoltre la circolazione dei treni della linea di diramazione per Fabriano, che avveniva con la trasmissione dispacci telefonici. Guai incorrere in una dimenticanza!
Personaggio di rilievo della stazione di quei tempi è stato il conosciutissimo Vincè (Vincenzo Monticelli) scomparso nel 1988 all’età di 68 anni, che ha portato con sé nella tomba la straordinaria facoltà mnemonica di risalire immediatamente al giorno di nascita della settimana di ogni persona sulla base dei dati anagrafici. Davvero un mistero.
Tornato nelle Marche per un caso ripresi la mia attività di cronista che svolsi in gioventù ad Ancona e il primo approccio fu con l’allora “Voce Adriatica”, dal momento che un giorno capitai nella redazione di Ancona, di via Menicucci, e i colleghi di un tempo mi chiesero di collaborare in quanto non avevano più a “Porto Civitanova” il corrispondente. Ma questo è un aspetto di vita di nessun interesse.
Civitanova era stazione di fermata di tutti i treni in circolazione sulla linea Adriatica, dai TEE (Trans Europe Express), al direttissimo, 660, Lecce-Torino: gli unici treni che non avevano fermata erano i “derrate” convogli costituiti da carri refrigeranti. Intenso era il servizio viaggiatori e di conseguenza la biglietteria era aperta giorno e notte, comprese tutte le festività, e soprattutto ingente era il traffico del “collettame” costituito da migliaia di spedizioni di pacchi di calzature, a volte, anche a carri completi, diretti all’imbarco di Livorno.
Attivissimo, inoltre, il traffico dei carri e carrozze “riparandi” per la Cecchetti notissima fabbrica dotata nel suo interno anche di binari, non elettrificati, uno dei quali era raccordato con la stazione. Sovente l’arrivo, più che altro di notte, di convogli di 40-50 carri, che viaggiavano a bassa velocità per via di guasti di varia natura. La lunga colonna di “riparandi” veniva momentaneamente lasciata in sosta sul primo binario, quello meno utilizzato dai treni viaggiatori e merci e con il “carrello”, un potente mezzo diesel, agganciato in “coda”, veniva spinta dentro la fabbrica con una serie di rigidissime cautele e segnali trasmessi a distanza con le bandiere rosse di giorno e le lanterne di notte, attraverso le quali i manovratori comunicavano lo spostamento o l’arresto della colonna in movimento. Lo stesso traffico avveniva a riparazione avvenuta.
Per la linea di Macerata-Albacina, oltre alle Automotrici, ALn 556, c’erano quattro treni, due viaggiatori e altrettanti merci, uno in partenza e l’altro in arrivo, trainati da locomotiva a vapore, gruppo 740, una delle quali aveva addirittura un nome, “Gigia”, dal momento che il macchinista che l’accudiva di più si chiamava Gigio. Dopo ogni arrivo, la locomotiva, con l’impiego di una piattaforma girevole, veniva rimessa con il fumaiolo in avanti, pronta a ripartire con il suo “tender” carico di carbone. I bambini erano affascinati da quegli sbuffanti giganti di ferro.
A distanza di anni, quando ormai rimane solo qualche ricordo lontano, la stazione, che ancora considero un po’ mia, per i turni di giorno e di notte che ho trascorso in essa, fino alla mia collocazione negli uffici compartimentali di Ancona, è diventata davvero bella: nuova tinteggiatura del fabbricato e delle pensiline, tre ascensori che collegano il rinnovato sottopassaggio con i marciapiedi sovrastanti, quello a servizio del secondo e terzo binario, ha a fianco anche le scale, oltre a quelle di fronte, come gli altri due ascensori. Tutti i marciapiedi sono stati rialzati di circa 30 centimetri, in modo che il predellino inferiore delle carrozze si viene a trovare sullo stesso livello del marciapiede, agevolando in tal modo la salita e la discesa dei viaggiatori. Una potenziata impiantistica di illuminazione e la messa in opera di monitor per la visualizzazione di avvisi, l’hanno resa più elegante e funzionale. C’è solo la necessità di cancellare qualche segno della lunga attività lavorativa.
Da anni, come in tutte e le stazioni, non c’è più il “dirigente movimento” in quanto la circolazione dei treni, da Lecce a Bologna, è regolata attraverso un complicatissimo sistema di comandi a distanza, basato su rigidi principi di sicurezza. Aspetti di un fondamentale servizio di trasporto che è stato necessario adeguare ai tempi, ma nonostante ciò la stazione continua a svolgere il suo ruolo importante. Sicuramente ho esagerato nel considerare “mia” la stazione, dal momento che giustamente appartiene a tutta la città di ieri e di oggi, ma non è facile cancellare tanti ricordi, soprattutto quelli di impegno e, perché no, anche di soddisfazioni. (Vittorio De Seriis).
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