PD “PERCHE’ SOSTENIAMO MASSIMO MONTESI, CANDIDATO ALLA SEGRETERIA PROVINCIALE DEL PD”

massimo-montesi1Il documento congressuale condiviso e sottoscritto dagli iscritti al PD della provincia di Macerata con il quale si sostiene la candidatura di Massimo Montesi a segretario provinciale del Partito Democratico:1. Rilanciare il progetto politico. A tre anni dalla fondazione del Partito democratico e con l’occasione dello svolgimento del primo Congresso provinciale e dei circoli è tempo di un primo bilancio e della definizione di una rotta precisa per il futuro. Il progetto del Partito democratico che nella nostra provincia ha visto l’adesione convinta di importanti culture e tradizioni riformiste, quella della sinistra democratica e socialista, del cattolicesimo democratico e popolare, quella laico-repubblicana, ha incontrato non poche difficoltà che hanno impedito a nostro avviso il piego dispiegarsi delle sue potenzialità. Noi pensavamo e continuiamo a pensare che questa ricchezza di apporti avrebbe potuto e può ancora fare del Pd in provincia di Macerata, data anche la struttura socio-economica del nostro territorio, un grande partito, capace di raccogliere un ampio consenso e di avere un peso specifico a livello regionale. Ciò non è ancora, anzi le elezioni regionali -pur nel quadro di una ripresa del Pd rispetto alle consultazioni dell’anno precedente e nell’ambito di un’accresciuta rappresentanza del nostro territorio nell’Assemblea legislativa delle Marche e nella Giunta regionale- hanno fatto registrare un risultato per il nostro partito a livello provinciale identico a quello delle europee del 2009 e comunque molto distante rispetto alle politiche del 2008. Più in generale il dato dell’astensionismo ha riguardato anche il nostro partito, segnalando una sfiducia degli elettori verso la capacità della politica di rispondere ai problemi dell’oggi e di indicare una prospettiva per il futuro. Rilanciare il progetto politico è, quindi, un’operazione necessaria e complessa che passa attraverso una serie di azioni che il Congresso e il confronto democratico delle posizioni dovrà aiutarci ad individuare. Ciò che fin d’ora ci sembra un limite che ha molto pesato e che va rimosso è stato il prevalere di logiche divisive e correntizie, l’attestarsi autodifensivo sulle appartenenze tradizionali e il prevalere di posizioni ispirate più al posizionamento personale e di gruppo rispetto all’investimento generoso sulla promozione e l’affermazione del progetto culturale e politico che sta alla base del partito nuovo.

2. Un Congresso fondativo. Il Congresso che ci accingiamo a celebrare avrà un carattere indubbiamente fondativo. Il Congresso nazionale e regionale è alle nostre spalle. Il Pd oggi ha una guida sicura nel segretario nazionale Pierluigi Bersani e una linea politica chiara, frutto del dibattito e dell’esito congressuale, che sta dando risultati importanti. Se i responsi elettorali hanno cambiato segno, se le contraddizioni interne al Pdl sono esplose e la stagione del berlusconismo sta volgendo al termine, il che lascia presupporre anche una possibile fine anticipata della legislatura, non è solo frutto della conclamata fine del progetto del Pdl, ma anche dell’azione del maggior partito d’opposizione che ha rilanciato la propria iniziativa politica, intessuto nuove alleanze, incalzato in Parlamento il governo. A livello regionale, analogamente, c’è un partito che, sotto la guida esperta di Palmiro Ucchielli, ha conseguito un’importantissima vittoria alle elezioni regionali, costruendo un’alleanza riformista innovativa e che è impegnato fortemente nell’azione di radicamento territoriale e sociale del Pd. Il congresso provinciale e dei circoli può rappresentare, quindi, una grande opportunità. Non siamo chiamati, infatti, a discutere di mozioni che hanno svolto la loro funzione, né ad accasarci nei recinti tradizionali, ma dobbiamo far emergere la specificità della nostra discussione che deve riguardare la costruzione di un’agenda comune sulle questioni prioritarie per la comunità provinciale e per la funzione che il nostro partito deve saper svolgere. Su questo va misurato il livello di consapevolezza e d’impegno della classe dirigente locale e provinciale. Diversamente, il nostro Congresso non parlerà all’esterno, non creerà le condizioni per un lavoro riconoscibile e capace di conquistare il consenso dei cittadini, ma costituirà l’ennesima sterile rappresentazione di rapporti di forza secondo una logica tutta introversa ed autoriferita.

3. Oltre le colonne d’Ercole del berlusconismo. L’autunno in cui svolgeremo le nostre assise congressuali sarà un momento delicato dal punto di vista politico, istituzionale e sociale. Berlusconi non trasmette più un’idea di futuro al Paese. La crisi economica che per lungo tempo egli ha esorcizzato o negato sta ancora dispiegando i suoi pesanti effetti e due anni di governo appaiono improvvisamente come se fossero passati inutilmente, senza che siano stati affrontati i problemi veri del Paese. La rottura interna al centrodestra non è episodica, ma strutturale, e chiama in causa di fronte alla crisi l’improbabile tenuta del blocco sociale e territoriale che per oltre quindici anni si è ammantato del populismo mediatico berlusconiano. La corruzione, il conflitto con la magistratura e con le più alte cariche dello Stato, il controllo sui media sono aspetti di un unico problema che ha prodotto l’abbassamento del livello di legalità e l’appropriazione privatistica dello Stato. Berlusconi, l’uomo delle promesse, è costretto a legare il suo nome a sacrifici iniqui e niente affatto risolutivi della pesante situazione economico-sociale. Se il quadro dipinto lascia intendere che la fine del berlusconismo è iniziata e va accelerandosi, occorre d’altro lato avere i nervi saldi di fronte a possibili colpi di coda e aprirsi ad una ulteriore fase della lunga transizione italiana, che potrà conoscere più di un rimescolamento all’interno del quadro politico. Il Pd deve affrontare questa fase tenendo unite questione sociale e questione democratica, caratterizzandosi come il partito di tutto il mondo del lavoro, delle riforme e della Costituzione. Deve mettere al centro della sua proposta economica il binomio equità-crescita e puntare sul piano politico-istituzionale alla costituzione di un governo di transizione che metta da parte Berlusconi e punti a modificare una legge elettorale, restituendo autonomia al Parlamento e ai cittadini il potere di scegliere chi li governa, ad arginare la corruzione e la degenerazione del conflitto istituzionale, ad intervenire per far fronte agli effetti della crisi, superando in questo il ritardo del nostro Paese e alleviando la condizione delle famiglie e delle imprese. La crisi economica e sociale esplosa due anni or sono apre di fronte alle forze progressiste e riformiste del nostro continente e su scala globale inediti campi d’azione, certamente non scontati, ma ricchi di potenzialità e fertili dal punto di vista della crescita delle idee di libertà, uguaglianza, solidarietà, giustizia. I limiti di una globalizzazione senza regole e dominata esclusivamente dai mercati sono sotto gli occhi di tutti, ma ciò non vuol dire che si apra automaticamente davanti a noi una fase nuova che faccia tesoro degli errori del passato anche recente e che rimetta di per sé al centro le persone, le comunità locali e i territori, il lavoro, i diritti di cittadinanza, l’economia reale, la capacità d’inclusione sociale e di estensione della democrazia. Il rischio piuttosto è che si alimentino ulteriormente le paure, le chiusure corporative, la pressione sui redditi e i salari, gli atteggiamenti xenofobi e le forzature autoritarie, se in primo luogo le forze democratiche e riformiste non mettono in campo una risposta alla crisi economica che sia anche una risposta alla crisi della democrazia, facendo intravvedere la possibilità e la praticabilità di una società diversa e più conveniente per tutti. Nel contesto del nostro Paese ciò vuol anche dire riflettere criticamente su che cosa non ha funzionato nella transizione politico-istituzionale degli ultimi due decenni e come mai l’assetto bipolare così come l’abbiamo conosciuto dal 1994 in poi sia riuscito a garantire l’alternanza al governo del paese, ma non altrettanto la stabilità e la governabilità. Di questo dovremmo tenere conto anche nell’aggiornare una valutazione politica sul percorso istituzionale e sociale degli ultimi 16 anni e per definire proposte capaci di incidere sul problema. Per tutti questi motivi i Congressi che svolgeremo dovranno dibattere delle questioni locali, ma avendo presente l’insieme dei cambiamenti in atto dal punto di vista politico più generale e soprattutto dovranno cercare di parlare all’esterno, rendendo partecipi delle assise nuovi iscritti, simpatizzanti e forze sociali.

4. Costruiamo un’agenda comune. Contribuire alla costruzione dell’alternativa al centrodestra e al berlusconismo, assumere posizioni dibattute e chiare sulle principali questioni che riguardano la vita della comunità provinciale, radicare il Pd nel tessuto sociale e territoriale, sostenere le nuove amministrazioni locali e confermare quelle che ci vedono forza di governo, tornare a vincere la Provincia di Macerata: questi ci sembrano, invece, i punti di un lavoro il più possibile unitario che riteniamo possa dare spessore al progetto del Pd provinciale e rappresentare una limpida piattaforma per il nuovo gruppo dirigente che scaturirà dal Congresso. E’ quanto mai necessario ed urgente che dai circoli e dal livello provinciale si riprenda un’intensa iniziativa politica sui vari temi che sappia raccordarsi con i livelli regionali e nazionali ed alimenti la costruzione dell’alternativa. Alla stessa maniera ci sembra impellente che su molti temi e su altri, che anche gli effetti nefasti della manovra approvata dal governo ci costringeranno ad affrontare già dal prossim’anno, il Pd sappia assumere con la necessaria tempestività, senza paura del confronto ed individuando negli organismi le sedi della discussione, posizioni chiare e coerenti con il profilo di una forza riformista e di governo. Che cosa pensa il Pd su questioni cruciali per la comunità provinciale non può non essere chiaro e visibile e -in qualche modo- incidere nella realtà. Avere indirizzi generali e proposte specifiche è essenziale per promuovere il radicamento organizzativo territoriale e sociale del Pd, così come lo è per orientare l’azione delle amministrazioni locali, specie quelle di più recente insediamento, e degli amministratori, che vanno organizzati in uno specifico Forum nel quale dibattere scelte cambieranno necessariamente la vita dei cittadini amministrati. Allo stesso modo riteniamo che vadano coordinate le posizioni di tutti gli eletti del Pd, confrontandoci anche con le forze alleate, sulle problematiche di maggior rilievo per la comunità provinciale. Una parola chiara riteniamo che vada detta sullo stucchevole dibattito sulla soppressione o meno delle Province. Noi pensiamo che la Provincia sia un ente amministrativo intermedio di rango costituzionale, importante nella logica del principio di sussidiarietà, sia verticale che orizzontale, che oggi può assolvere a funzioni utili soprattutto nei confronti dei Comuni. Questo significa che mentre la Regione sarà sempre più un ente che legifera e norma, indirizza e programma, la Provincia dovrà assolvere a funzioni ulteriori, anche a seguito dei processi di razionalizzazione in atto a livello regionale, e che tutto ciò che i Comuni non possono più gestire da soli o in forma associata deve assumere una competenza provinciale, pur con forti rapporti di collaborazione e condivisione con i Comuni stessi e con le Unioni dei Comuni, montani e non. Ci sono materie importanti, molte delle quali già di competenza provinciale, su cui va concentrata la nostra attenzione e definita una proposta politico-amministrativa: le infrastrutture della mobilità fisica e virtuale, la politica di coordinamento urbanistico, di gestione del territorio e dell’ambiente, la gestione dello smaltimento dei rifiuti e dei servizi pubblici a rete (trasporti, idrico, gas, energia), le politiche per il sostegno al lavoro e alle piccole e medie imprese, allo sviluppo produttivo e alla formazione, la politica energetica e della casa, la valorizzazione turistica unitaria del territorio, con particolare attenzione all’entroterra e alle opportunità di lavoro per i giovani, la cultura come secondo pilastro dello sviluppo, capace di creare economia, reddito e occupazione. La Provincia ha un’importante funzione da svolgere come ente di coordinamento di area vasta che deve saper ricondurre ad un rapporto equilibrato e corretto i vari sistemi locali, cercando di ridurre le diseguaglianze e gli squilibri territoriali, di reddito e di opportunità all’interno della comunità provinciale. Analogamente, la Provincia deve essere protagonista nel definire un rapporto di leale collaborazione, rispettoso dei ruoli e delle competenze, ma il più possibile strutturato e continuativo con tutte le altre istituzioni pubbliche, a partire dalla Regione, e private che operano sul territorio nei vari settori: dalle istituzioni scolastiche alle Università, dalla Camera di Commercio alla Fondazione, dalle associazioni dei lavoratori e degli imprenditori alle tante associazioni libere, basti pensare a quelle del volontariato di varia natura, che sono presenti sul territorio e che hanno una valenza provinciale.

5. Tornare a vincere la Provincia di Macerata. La sconfitta alle elezioni provinciali del 2009 ha rappresentato una seria battuta d’arresto anche per la costruzione del Partito democratico sul territorio. Le divisioni registratesi fin dalla nascita del partito, alcuni limiti nell’azione di governo, l’asfitticità della coalizione messa in campo, il clima generale sfavorevole hanno determinato una sconfitta pesante, seppure di misura, su cui è tempo di abbandonare letture superficiali per aggredire il dato politico di fondo. Esso è rappresentato, oltre che dalla necessità di rafforzare il nostro partito, dall’insufficienza del centrosinistra così come l’abbiamo conosciuto dalla metà degli anni Novanta in poi e con il quale abbiamo ben governato per quindici anni la Provincia, portandola in vetta alla classifica della qualità della vita e del BIL (Benessere interno lordo) delle province italiane. Quella proposta politica non riesce più ad intercettare il consenso necessario per dare risposte adeguate alla grande trasformazione che il territorio provinciale sta conoscendo dentro la cosiddetta “terza modernizzazione” della nostra economia verso la società della conoscenza. L’insufficienza è rafforzata dal fatto che le forze della sinistra radicale hanno subito nel tempo una progressiva destrutturazione e frammentazione e che questo dato non solo appare irreversibile, ma ha determinato nelle ultime elezioni politiche l’esclusione delle stesse dal Parlamento a causa di un’incapacità di farsi carico responsabilmente dell’azione di governo che gli elettori hanno severamente punito. Se alle elezioni provinciali del 2009 il centrosinistra classico si è attestato intorno al 43% dei consensi, alle elezioni regionali esso ha riconfermato la sua base storica intorno al 45-46%. A fronte di questo il centrodestra ha dimostrato nel tempo una maggior solidità del proprio consenso e una capacità di tessere alleanze ampie, più ampie delle nostre. Ora, la situazione che si è determinata con l’annullamento del voto del 2009 da parte del Consiglio di Stato offre l’occasione inaspettata per il nostro partito di rigiuocare una partita, potendo evitare gli errori del recente passato. Il centrodestra in un anno di governo si è mosso in modo schizofrenico tra la velleità di cambiare tutto quanto fatto in precedenza dal centrosinistra e il vuoto reale di proposta e d’iniziativa, ha derubricato la crisi economica dall’agenda delle priorità, ha tradito in modo arrogante le promesse di concertazione con le amministrazioni locali e i soggetti economico-sociali, alimentando i problemi invece di risolverli, come accaduto in modo emblematico sui temi dei rifiuti, dell’università, delle politiche turistiche. A fronte di un Pdl che in un solo anno ha deluso, noi non possiamo fallire per la seconda volta in due anni e perché ciò non accada dobbiamo sapere che la partita è estremamente delicata e complessa, che richiede convinzione, prudenza e lungimiranza, ma che può essere affrontata e vinta. Per centrare questo obiettivo serve però un partito in campo che apra un confronto a 360° con la società provinciale e le sue rappresentanze sociali; definisca le proprie priorità e le confronti in modo aperto con chi è interessato; costruisca una alleanza nuova ed ampia che, partendo da quella che oggi governa le Marche, sappia includere il più possibile dando vita ad un nuovo centrosinistra; decida insieme agli altri i metodi attraverso cui scegliere in modo condiviso il candidato presidente e impegni le figure più rappresentative nei vari collegi elettorali. Questo ci sembra il modo più autentico di tradurre sul nostro territorio quanto il segretario nazionale Bersani ha voluto riassumere nella formula del “nuovo Ulivo” e di una grande Alleanza per la Democrazia. Tornare a vincere in Provincia di Macerata vuol dire anche preparare nella maniera migliore il voto in Comuni importanti, dove intendiamo confermare e rinnovare esperienze amministrative positive, così come vogliamo competere per vincere negli altri Comuni che andranno al voto nel 2011.

6. Il Pd e gli Enti locali: governare il cambiamento. Le recenti vittorie nei Comuni di Recanati e Macerata, il fatto che nel 2011 e nel 2012 andranno al voto Comuni medi e grandi come San Severino Marche e Morrovalle, quindi Corridonia, Tolentino e Civitanova Marche, devono spingerci come partito ad un lavoro specifico a fianco delle amministrazioni che si sono recentemente insediate e di quelle che vanno al rinnovo. Consolidare il nostro insediamento negli Enti locali è fondamentale, tanto più in una provincia come la nostra. Conquistare il Comune di Civitanova Marche, in particolare, deve essere un obiettivo di tutto il partito provinciale, perché vincere lì rappresenterebbe il punto di svolta negli equilibri di governo su scala provinciale e nel confronto di medio termine con il centrodestra, dentro la lunga transizione politica in atto che riguarda anche il nostro territorio. Più in generale abbiamo bisogno di un partito che, nel rispetto delle reciproche autonomie, ma senza separatezze, svolga nell’interesse anche degli amministratori un lavoro di elaborazione, orientamento e coordinamento sulle politiche di area vasta, da quelle dei servizi pubblici locali (rifiuti, acqua, gas, trasporti) a quelle infrastrutturali, da quelle culturali-turistico-ambientali a quelle socio-sanitarie. Il Pd spesso non è consapevole della risorsa rappresentata dai suoi amministratori e gli amministratori del Pd spesso non pensano al partito come uno strumento da cui può venire un contributo strategico per il governo. Questo limite reciproco va superato, soprattutto in un momento come l’attuale. Il Partito democratico è forza di governo in circa venticinque Comuni della nostra provincia, quasi la metà, e deve essere più consapevole di questa funzione che svolge sul territorio e nelle comunità locali. Abbiamo bisogno di maggiore discussione sui temi all’ordine del giorno, specie di fronte alla situazione nuova che vede le istituzioni territoriali (Comuni, Province e Regioni) private di risorse essenziali per onorare le funzioni decentrate, mentre crescono i bisogni e anziché il federalismo si viene affermando la restaurazione neocentralistica dei poteri. Un terreno d’impegno urgente e comune concerne lo sviluppo dell’associazione delle funzioni e dei servizi tra i Comuni, specie tra quelli più piccoli e sulla base di ambiti territoriali omogenei, unica risposta alle sempre maggiori difficoltà di efficacia amministrativae di stabilità finanziaria che vivono gli Enti locali. Alimentare una solida cultura di governo, assumere orientamenti che impegnino alla corresponsabilità politica sui temi che hanno un valore strategico per il territorio, definire una cornice politico-programmatica che consenta la predisposizione nei singoli Comuni di proposte politico-amministrative coerenti, sono tasselli di un disegno che vuol qualificare la progettualità e l’iniziativa delle amministrazioni dove il Pd ha un ruolo e le cui “buone prassi” devono essere evidenti nell’interesse dei cittadini. Vogliamo, insomma, che un Comune dove governa il Partito democratico si distingua dagli altri per la qualità dei servizi, delle risposte e delle opportunità che offre ai suoi cittadini e per lo spessore della classe dirigente che li amministra.

7. Crisi economico-sociale, rigore e nuovo sviluppo. Il nostro impegno non si arresta qui. Subito dopo il Congresso andrà avviato un importante lavoro di elaborazione programmatica che coinvolga i Circoli, le Aree tematiche, coloro che sono iscritti o vicini al partito e che operano nelle associazioni provinciali del mondo dell’impresa, del lavoro, delle professioni, della cultura e del volontariato. Un lavoro che possa essere sottoposto agli organismi e diventare strumento di dialogo all’esterno e di iniziativa politica diffusa. Il Pd ha bisogno di definire meglio il proprio profilo programmatico, di aggiornarlo periodicamente e di attivare a tal fine una specifica sede per la costruzione del programma, che culmini in una grande Conferenza programmatica. Fronteggiare gli effetti della crisi economica, mettere in campo tutte le azioni di rigore e di intelligente razionalizzazione, promuovere attivamente nuovo sviluppo: queste sembrano essere le direttrici d’impegno per i prossimi mesi e anni su cui concentrare il lavoro di analisi e di proposta. I temi del lavoro, dell’istruzione, del sostegno alle fasce e ai soggetti deboli della società devono stare in cima ai nostri pensieri; serve da questo punto di vista promuovere un patto sociale tra enti pubblici, reti sociali e “terzo settore” che consenta di affrontare le problematiche del disagio giovanile, dell’invecchiamento, della discriminazione e della marginalità sociale, delle vecchie e nuove povertà. Gli effetti della crisi rischiano di complicare il processo d’integrazione dell’immigrazione extracomunitaria che nella nostra provincia è avvenuta finora senza particolari conflittualità e che oggi riguarda una generazione di “nuovi italiani”. La risposta alla crisi può venire anche da un’idea di società più aperta, rispettosa della dignità della persona, dei diritti civili, sociali e individuali, e da un Pd che si batte contro ogni discriminazione di sesso, di razza, di lingua, di religione. Un investimento particolare richiederanno le politiche integrate di sicurezza su scala urbana e territoriale. Analogamente le politiche della ricerca e dell’innovazione devono orientare l’evoluzione competitiva del sistema manifatturiero, del Made in Italy e l’investimento nei settori del nuovo sviluppo (green economy e brain economy), nell’energia, nell’ICT, nei servizi pubblici locali, nel turismo, nella cultura, nell’ambiente, nell’agricoltura di qualità, nei servizi alla persona. Tutto questo potrà avvenire se saremo capaci di chiamare a raccolta le energie profonde, le competenze diffuse, le risorse inespresse delle nostre comunità. Di fronte al taglio di risorse senza precedenti operato dal governo di Bossi e Berlusconi, mantenere la cifra del benessere delle nostre comunità, della Provincia di Macerata e delle Marche, fatta di sviluppo e di coesione sociale, vorrà dire puntare sulla mobilitazione e sulla partecipazione dei cittadini, sul coinvolgimento dei soggetti organizzati e dei privati per ridefinire le priorità, stabilire chi fa che cosa, qualificare i livelli essenziali delle prestazioni pubbliche e coinvolgere secondo criteri condivisi e sussidiari altri soggetti che svolgano una funzione pubblica nell’espletamento di servizi e attività riconosciute. Le pubbliche amministrazioni, gli Enti locali sono chiamati ad attuare azioni di rigore e di razionalizzazione, cercando il più possibile di salvaguardare la qualità dei servizi al cittadino e d’impiegare nel mantenimento e nell’implementazione degli stessi le risorse liberate. Al contempo occorre mettere in campo modalità innovative e forme di partenariato pubblico-privato per stimolare nuove iniziative e promuovere sviluppo. Scelte coraggiose di riordino amministrativo e funzionale non sono più rinviabili anche in ambito d’area vasta; esse vanno discusse ed adottate con la necessaria discussione pubblica e con celerità decisionale. La politica e i partiti sono chiamati a dare l’esempio, ispirandosi all’eticità e alla sobrietà delle azioni e dei comportamenti, ma anche alla strenua difesa delle istituzioni e delle prerogative della politica, contro ogni cedimento populistico o alla retorica dell’antipolitica.

8. Il Pd: il partito dei circoli, degli organismi e delle regole. I circoli sono il grande patrimonio del Partito democratico. Il Congresso dovrà consentirci d’impegnare nella loro direzione le figure più rappresentative e capaci, mettendo al centro di un lavoro intenso per il radicamento popolare del partito i contenuti e le cose da fare. Bisogna innanzitutto ripartire dal rispetto delle regole e dalla codificazione di una vita minima democratica per ciascun circolo. Le riunioni del direttivo, le assemblee degli iscritti, il tesseramento e l’attività di autofinanziamento, le Feste democratiche, il coinvolgimento degli elettori delle primarie non possono rappresentare una iattura o secondo alcuni l’esercizio di una mera prassi burocratica. Sono piuttosto la vita reale del partito, senza cui esso non esiste. Sono momenti non sostituibili con la presenza nel web e nei social network, che pure rappresentano una parte importante e indispensabile della comunicazione politica. Aver archiviato il modello di partito fondato sul rapporto diretto tra leader e popolo delle primarie, non vuol dire rifluire in vecchie prassi paludate e burocratiche rispetto a cui il progetto del Pd ha rappresentato un’ambizione di forte innovazione. La vera sfida per il Pd dal punto di vista della forma-partito, anche nell’ambito dei partiti progressisti e riformisti europei, è costituita dall’idea di riuscire a coniugare il profilo di forza di governo e di programma con una solida organizzazione nei gangli vitali della società e delle comunità locali, unendo e valorizzando modalità di presenza tradizionali e nuove che trovano nella “rete dei circoli” e nei “circoli in rete” la propria forza. Per questo dobbiamo valorizzare la “cittadinanza politica attiva” dei tanti, uomini e donne, che scelgono di “fare partito” e per questo dobbiamo aprire nuovi circoli nei quartieri e nelle frazioni delle nostre città, nei luoghi di studio e di lavoro, puntando contestualmente sulla presenza fisica e organizzata e sulla comunicazione virtuale (sito, giornale telematico, presenza sui social network, etc.). Occorre costituire le Unioni comunali nelle città con oltre 15.000 abitanti e i Coordinamenti di zona per aree omogenee, tenendo conto delle elaborazioni socio-economiche sui sistemi locali della nostra provincia. Bisogna valorizzare il lavoro e le decisioni degli organismi, dando continuità e periodicità alle riunioni dell’Assemblea provinciale, della Direzione e dell’Esecutivo, che costituiscono le uniche sedi dove si trattano gli argomenti, si esplicita il confronto e si producono le sintesi politiche. Analogamente, i Circoli devono ritrovare regole e tempi di una vita anche interna contrassegnata da certezze nella convocazione degli organismi, delle assemblee degli iscritti, degli appuntamenti pubblici, secondo una programmazione minima di mandato del lavoro che il Segretario e il Direttivo di circolo sono chiamati a svolgere. In questo modo potranno ancor più essere luoghi aperti del dibattito tra culture e sensibilità, le quali tutte hanno diritto di cittadinanza nel rispetto delle regole statutarie. Infine, vanno attuati strumenti periodici di consultazione degli elettori delle primarie attraverso questionari, referendum, consultazioni via internet, etc. Abbiamo bisogno insomma di un partito con le idee chiare, di popolo e organizzato.

9. Le risorse per la politica. Ridare certezza al nostro partito dal punto di vista finanziario costituisce una vera e propria emergenza, da affrontare tempestivamente. Senza risorse non si fa politica, né tanto meno una politica democratica. I Circoli vivono nell’asfissia finanziaria, che limita fortemente l’iniziativa politica fin quasi alla paralisi e che non può essere alleviata soltanto dai proventi dell’esercizio periodico delle elezioni primarie. l’Unione provinciale dal canto suo ha bisogno di una stabilizzazione finanziaria che consenta il mantenimento di un livello strutturato provinciale, superando la precarietà del giorno per giorno. Il progetto di un partito organizzato e popolare non può concretizzarsi senza porsi con decisione il tema della sostenibilità finanziaria con un’efficace programmazione delle modalità e dell’attività di reperimento delle risorse. Quello dell’amministrazione è un terreno che va messo il più possibile al riparo dalle turbolenze della vita politica interna e tutti vi devono contribuire come prerequisito essenziale della cittadinanza interna al partito. Su questo versante della vita del Pd occorrerà esigere il rispetto di regole precise che riguardano la contribuzione da parte di eletti e nominati, costruire albi dei sostenitori, investire sulle campagne di tesseramento, prevedendo anche un graduale aumento della quota tessera, fare in modo che ogni circolo faccia almeno un paio di iniziative ogni anno finalizzate all’autofinanziamento, promuovere sottoscrizioni rivolte agli elettori delle primarie finalizzate al finanziamento del Pd e della “buona politica”, concordare il miglior uso del patrimonio immobiliare anche attraverso una sua riconversione. Un ruolo importante deve essere svolto dai livelli nazionali e regionali del partito, prevedendo il trasferimento stabile di una parte delle risorse verso i livelli provinciali, come per la verità si è iniziato a fare. Una grande partito popolare non si costruisce senza un impegno strategico sul versante finanziario che veda uno sforzo dal basso, che consente anche di misurare il suo grado di radicamento e di rappresentatività sociale, e dall’alto con un investimento che punta a dare certezza ai livelli territoriali. E’ quanto mai opportuno che nel lavoro di reperimento delle risorse e della sana amministrazione del partito tutti siano chiamati a dare il proprio contributo, ma soprattutto che si riconosca autorevolezza al ruolo di Tesoriere e in ogni Circolo vengano impegnate nell’organizzazione e nella tesoreria persone capaci e dinamiche, così come a livello provinciale si costituisca al di fuori delle logiche politiche, ma sulla base delle competenze e delle capacità un efficiente Comitato di Tesoreria ed anche un Coordinamento organizzativo.

10. Democratiche e Democratici. Noi riteniamo che la sfida che abbiamo di fronte a livello più generale sul versante dell’alternativa al centrodestra e a livello territoriale verso la comunità provinciale richieda una forte tensione unitaria, la capacità di promuovere un rinnovamento vero e la costruzione di un gruppo dirigente autorevole, preparato ed affidabile, che ascolta i cittadini e sa ascoltarsi. Focalizzare i contenuti di un’agenda comune, che intercetti il sentire dei cittadini, selezionare i gruppi dirigenti sulla base del merito, individuare una candidatura a segretario provinciale che sia espressione di una linea politica chiara, che abbia il profilo per affrontare le impegnative e decisive scadenze che abbiamo di fronte a noi, che conosca il partito provinciale e dia garanzia di impegno, autorevolezza e autonomia crediamo che sia non solo giusto in sé, ma favorisca concretamente un passo in avanti in direzione di una maggiore unità. Unità non è unanimismo; è una parola che richiede di essere praticata e non evocata. E la maniera per praticarla è darle sostanza. Oggi il Pd della provincia di Macerata ha la possibilità di essere più unito se, rispetto al recente passato, sa individuare un terreno più avanzato d’impegno comune. Se si resta nei recinti delle mozioni, delle correnti e dei vecchi gruppi d’appartenenza, l’unità a cui si pensa non potrà che essere un compromesso di corto respiro, che punta unicamente all’autotutela dei gruppi dirigenti e rinvia ancora una volta la costruzione del partito delle Democratiche e dei Democratici. Non è più tempo di dividersi tra ex, tra chi è per il partito degli elettori e chi è per quello degli iscritti; lo strumento delle elezioni primarie è a fondamento della nascita del Pd e il suo uso è ormai disciplinato dal nostro Statuto, insieme al ruolo degli iscritti. Né è tempo di un “rinnovamento” che si pensa come un pezzo di classe dirigente contro un altro o che indulge stancamente al “nuovismo”. Il ricambio generazionale e della classe dirigente è un tema reale e importante, che deve avanzare, ma non c’è nessuna utilità nel pensarlo unicamente e forzosamente in modo conflittuale. D’altra parte nel partito provinciale le responsabilità politiche ed istituzionali sono diffuse, nessuno può chiamarsi fuori e le generazioni più giovani hanno ruoli amministrativi e di partito non secondari. I “Giovani Democratici” hanno bisogno che il partito tutto investa su un’organizzazione giovanile robusta, autonoma e nella quale la crescita della nuova classe dirigente si misuri sulla capacità di tematizzare le grandi questioni che riguardano il rapporto tra le giovani generazioni e la società (la disoccupazione giovanile, la mancanza di opportunità, lo stato della scuola e dell’università, la precarietà del lavoro, le chiusure corporative che deprimono meriti e talenti) e di sviluppare su questo l’iniziativa politica e di far crescere la presenza organizzata delle Democratiche e dei Democratici in mezzo ai giovani. Essi possono rappresentare la “Generazione del Pd”, se sanno fare della propria libertà da un passato spesso ingombrante la leva per una nuova proposta politica che non si faccia risucchiare nelle ridotte delle appartenenze correntizie o di gruppo. Oggi, dunque, di fronte agli obiettivi ardui che dobbiamo saper perseguire e cogliere, è più che mai necessario l’apporto di tutti; bisogna puntare sulla risorsa delle donne, sull’unità delle generazioni anche all’interno del partito, investire su un rinnovamento senza conflitti, ma che sia messo alla prova e sia valutato. Ci sentiamo di dire che la migliore formazione politica è quella che si fa nel partito e nelle istituzioni, piuttosto che nei seminari, pur importanti. Pensiamo che sia tempo che ad ogni livello prendiamo le distanze da tentazioni leaderistiche, rimettendo al centro la sobrietà, la serietà e la dignità della politica ed investendo su una leadership plurale e collettiva, in cui la visibilità e l’autorevolezza di un gruppo dirigente richiami quella di ogni suo singolo componente e viceversa. Forse, allora, potremo dire di aver osato.

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