LO PSICOLOGO RISPONDE: “IL BULLISMO”

bulliDa tempo le cronache ci mostrano uno strano fenomeno: ci sono dei bambini che manifestano la loro aggressività, fisica o verbale, sui loro coetanei. Queste “prepotenze” che si consumano soprattutto nei luoghi che hanno a che fare con la vita scolastica – pulmini, cortili, bagni, corridoi, ecc… – non sono neppure mosse da un eventuale torto subito. Questo fenomeno è ciò che chiamiamo bullismo.
Anche se può manifestarsi anche in adolescenza, prendendo soprattutto le forme del cyber bullismo (bullismo elettronico), è molto presente tra i bambini della scuola elementare – ma anche della scuola materna -, cioè in un’età in cui, secondo la rappresentazione veicolata dal senso comune, il bambino vivrebbe in una spensierata innocenza. Evidentemente la rappresentazione veicolata per secoli nella cultura occidentale non è stata in grado di cogliere che, proprio come accade tra gli adulti, anche i bambini sono capaci di prevaricar gli altri.
Questa nostra cecità verso i minori violenti, è venuta meno solo qualche decennio fa grazie alle ricerche dello psicologo Olweus (1978). E’ in conseguenza delle sue ricerche nella scuola scandinava che si è potuto prima conoscere e poi affrontare con consapevolezza il bullismo, maschile e femminile, attraverso il coinvolgimento di insegnanti, genitori, professionisti. Non soltanto abbiamo conosciuto di più la psicologia del bullo e della sua vittima ma abbiamo anche scoperto che sulla scena della violenza ci sono anche altri protagonisti: i coetanei che assistono alle violenze messe in atto. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe siamo costretti a costatare che gli “spettatori” non necessariamente si mostrano indignati. E’ vero che ci sono coloro, pochi, che si schierano apertamente a difesa della vittima, ma i più si distribuiscono tra coloro che si mettono dalla parte del bullo, giungendo perfino a spalleggiarlo, e tra coloro che assumono un atteggiamento di neutralità: “Non vedo, non sento, non mi schiero”. Viene spontaneo notare, anche in questo caso, una sorta di parallelismo tra i comportamenti degli adulti e quello di questi “adulti in miniatura”. Questa sintetica disamina di un fenomeno molto più complesso, ci permette, comunque, di ritornare per un attimo sulla questione concernete l’intima essenza della natura umana. Dinanzi all’antica diatriba: “L’uomo è buono o malvagio” , penso si possa sostenere che l’uomo sia contemporaneamente l’uno e l’altro. Ciò che, secondo me, sposta l’ago della bilancia da un polo all’altro è la conseguenza psicologica degli incontri significativi che il bambino fa a partire dall’infanzia: ci sono incontri che fanno apprezzare le “ragioni del bene” e quelli che esaltano, magari senza volerlo, la “banalità del male”. Noi adulti dobbiamo assumerci la responsabilità delle conseguenze che questi incontri hanno sui nostri figli. Certo, sminuirne il significato può forse farci comodo ma nel tempo questo nostro atteggiamento può rivelarsi un tragico errore.

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