GRAMSCI & BENIGNI. L’ARISTON IN PIEDI E APPLAUDE ANCHE NAPOLITANO

benigniDi Silvia Truzzi

Splende il sole su Sanremo. Anche quello dell’avvenir: viva l’Italia, dice Benigni all’Ariston, l’Italia che resiste, aggiunge De Gregori. A canzoni non si fan rivoluzioni, ma Il debutto di Antonio Gramsci sul palco ha tramortito tutti. Bisogna esser felici però: gli ascolti sono stellari (share oltre il 50 per cento). Luca e Paolo in conferenza stampa rispondono a un saluto con il pugno alzato. È uno scherzo, non si sottraggono. Il Festival dell’Unità è stato una staffetta di sorprese. Nessuno immaginava di andare verso la vendetta? Forse qualcuno sì, se Gianni Morandi, mentre beve un caffè prima del Question time, serenamente ammette: “Sapevo che avrebbero letto Gramsci”. E non è difficile immaginare che sapessero anche Mazza&Mazzi. Molte cautele per nulla, cadono le foglie di fico.

ROBERTO BENIGNI giovedì sera è arrivato in teatro a cavallo, anche se “i Cavalieri in questo periodo non se la passano bene”. Si capisce subito che le richieste dei vertici Rai saranno in parte disattese. Benigni ha scritto un monologo splendido sull’Inno di Mameli: colto, emozionante, profondo. Però sa che non può chinare il mento. Non poteva dirci non sta succedendo niente. Così in apertura spiega che aveva promesso di raccontare solo i Fratelli d’Italia, ma che non ce la fa a trattenersi. Se la prende con il centrosinistra (“Do – v’è la vittoria? Sembra scritto per il Pd”) e con il premier imputato. “L’Italia è una bambina, una minorenne. Anche Mameli era minorenne quando ha scritto l’inno. Voi direte: ancora ‘sta storia, non se ne può più. Ma scusate: è nato tutto qui. Con Gigliola Cinquetti che cantava Non ho l’età, e che si era spacciata per la nipote di Claudio Villa. Se non ne potete più cambiate canale. Andate sul Due, no lì c’è Santoro”. La finestra sulla Povera patria si chiude, il racconto della battaglia per l’Italia Unita può cominciare. Il giorno dopo tutti – da Morandi al presidente della Rai Garimberti – diranno che “è da portare nelle scuole”. E quasi certamente si farà (con il placet della Gelmini). Historia magistra, ma non solo. C’è, nel pezzo di Benigni, molto dei nostri giorni. I pericoli: “Un Paese che non sa declamare i propri valori è pronto all’asservimento”. La dignità delle donne: “Per il nostro Risorgimento hanno fatto tanto. E non avevano diritti”. La democrazia: “C h u rch i l l era un personaggio meraviglioso, ci ha liberato dal nazismo. Ed era uno che quando la moglie gli comunicò che aveva perso le elezioni, disse: ‘No, abbiamo vinto lo stesso’. Perché l’importante per lui era fare le elezioni”. La fine è l’inizio di un’emozione che ammutolisce la sala: Benigni canta l’Inno. Senza musica, senza retorica. Non facile. Sembra tutto finito. Invece tocca alle imprevedibili Iene. In mattinata avevano annunciato l’intenzione di tenere il profilo basso, dopo il pezzo del premio Oscar: “Ubi maior…”. Buio e silenzio in sala, luci su Luca: “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa”. Antonio Gramsci mette in guardia gli italiani di oggi. Qualcuno era comunista, ma sul palco dell’Ariston non si era ancora visto: B. non deve averla presa bene. Gli saranno tornate in mente le parole di Mario Monicelli sulla rivoluzione culturale? Uno spettro si aggira per l’Italia… A Napolitano, invece, la serata è piaciuta molto: ha scritto una lettera a Benigni. IL MATTINO dopo si presentano alla stampa il presidente della Rai Paolo Garimberti e, naturalmente, il direttore di Rai1 Mauro Mazza. Parte il presidente: “Non sono venuto qui a prendermi meriti non miei. Quando si fa buona tv e buona cultura si fanno anche grandi ascolti. Il che vuol dire che non bisogna necessariamente urlare e denudarsi”. Un Ordine Nuovo alla Rai? Qualcuno se lo chiede e forse a ragione, perché da Ti sputtanerò a Gramsci qualche diktat sembra vacillare. “Spero che questa di Sanremo non sia una parentesi ma l’inizio di un nuovo momento”, dice Garimberti. “Però non c’è un clima nel Paese che possa aiutarci a superare i momenti del passato. Forse il mio è l’ottimismo della volontà”. Gramsci, parte seconda. “Ho apprezzato molto Luca e Paolo quando hanno recitato benissimo il pezzo tratto da La città futura. Certo, quando è apparsa l’immagine di Gramsci a qualcuno è venuto lo sturbo”. Non si riferiva al direttorissimo Minzolini, giunto in Riviera solo ieri (forse per capire come si fa un prodotto televisivo di successo). Invece il direttore generale Masi, “emozionato per il Benigni patriota”, giovedì sera in sala non aveva una faccia delle migliori. E nemmeno il compagno direttore. Così Mazza su Gramsci (con molte scuse per l’accostamento): “Parole alte come quelle di ieri sera si potevano trovare anche tra gli scritti di altri grandi personaggi della storia italiana. Il testo era bello e suggestivo. Ma io avrei scelto altro, magari un liberale come Piero Gobetti”. Paolo non ci sta: “Abbiamo anche pensato alle lettere di Garibaldi, ma poi ci siamo indirizzati su Gramsci. L’autore che si è assunto la responsabilità di quel testo insieme a noi è di Cl. Non mi viene in mente niente di più libero e liberare di quel discorso sulla responsabilità civile. Un grido attualissimo”. Vicino c’è Luca: “Ho sentito un giornalista alla radio ieri. Raccontava una storia di quando era un giovane studente impegnato in politica. Una volta aveva storpiato il nome del preside davanti al padre. Si è preso una sberla. Il padre gli aveva detto: combatti le idee, mai le persone. Prendersela con le persone è fascista”. Poi ringraziano la loro azienda: “D ove ro s o ”, dice Luca, “perché Mediaset ci ha permesso di essere qui. Strano che due mondi così lontani, che non hanno contatti, abbiano trovato un accordo. Chissà come hanno fatto a telefonarsi…”. Perfida allusione a Raiset, del resto c’è Lucio Presta, manager bipartisan. I vincitori morali del Festival (alla faccia delle tagliatelle della Clerici) spiegano che più forti delle etichette sono le idee, non importa a chi appartengono. Come questa: “Il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare”.

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