“CIVITANOVA E MACERATA, DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA”

liuti1DI Giancarlo Liuti

In un’estate di cinquant’anni fa, davanti al Bar Claudio, all’inizio di Fontespina, mi capitò di parlare con un pescatore e un operaio della Cecchetti. Il discorso riguardava la differenza fra la gente di Civitanova e la gente di Macerata. “Noi”, dicevano, “affrontiamo le insidie del mare, ci roviniamo le mani con l’acciaio, tutti i giorni è una sfida, a volte rischiamo la vita. E invece i maceratesi? Stanno seduti negli uffici e nelle scuole, aspettano tranquillamente la pensione, non c’è pericolo che la barca affondi o che la fabbrica chiuda”. Esageravano, ma la diversità fra Civitanova e Macerata era, in sostanza, proprio questa. Una diversità che poi, nel giro di pochi lustri, avrebbe portato Civitanova a un tumultuoso sviluppo nell’industria, nell’artigianato, nel commercio, nella crescita demografica e nell’espansione urbanistica, mentre Macerata rimaneva ancorata alle sue tradizioni storiche e civili, gelosa della propria vocazione di città prevalentemente di servizi (ecco gli impiegati a tavolino, ecco le amministrazioni pubbliche, ecco le libere professioni, ecco i docenti in cattedra) secondo un modello esistenziale che diffida del passo più lungo della gamba e una visione del mondo in cui sopravvivono valori dell’antica civiltà contadina e lo spirito della moderazione e della coesione sociale.
Su un punto, però, quel pescatore e quell’operaio avevano torto. Ed era che gli sfuggiva la complementarietà – la necessaria complementarietà – fra le due facce della medaglia. Lungo il Chienti e il Potenza si distende una popolazione che fin dai leggendari Piceni e con alterne vicende ha avuto in comune il carattere della laboriosità, della tenacia, della costanza. Alla maggior vitalità di Civitanova serviva – e serve – l’attitudine di Macerata alla riflessione (non sarebbe stato meglio per lo sviluppo di Civitanova che l’autostrada fosse passata cinque chilometri più all’interno, come proposero invano i “kennediani” del maceratese Adriano Ciaffi?). E viceversa. Perchè senza gli stimoli imprenditoriali che venivano – e vengono – da Civitanova, Macerata sarebbe stata – e sarebbe – ferma nella contemplazione delle proprie lentezze. Una complementarietà che esprime il meglio di sé nell’equilibrio territoriale, nella coscienza unitaria, nel rispetto reciproco, nell’unione delle forze. Una complementarietà che deve essere la stella polare del pensiero e dell’azione sia di Macerata e Civitanova a livello comunale, sia di Macerata come capoluogo, sia dell’Amministrazione provinciale. Questo, pur essendo più civitanovese che maceratese, Giulio Silenzi l’aveva capito. E’ da sperare, adesso, che lo capisca anche Franco Capponi, contenendo il persistere più o meno sotterraneo di certe viscerali pulsioni rivendicative. E non si svenda il concetto stesso di provincia (cinquantasette comuni, trecentomila abitanti, Macerata incontestabile capoluogo) al mercato di mediocrissime beghe di potere personale e di un ottuso revanscismo rionale che non giova a nessuno e mortifica chi se ne fa bandiera.
Io, che sono jesino di nascita, amo Macerata, amo Civitanova (ho sempre ammirato la schiettezza e la generosità dei suoi slanci, lunga e forte fu l’amicizia con Ninì Quintabà, ricordo l’entusiasmo e l’orgoglio con cui salutai la vittoria della squadra civitanovese a “Campanile Sera”) ma soprattutto amo questa provincia, dall’Adriatico ai Sibillini. Ecco perché negli ultimi anni ho assistito con sbalordito sconcerto all’accanimento pressoché quotidiano di vari dirigenti politici del centrodestra civitanovese contro Macerata. Intendiamoci, Macerata avrà pur meritato rilievi critici per il modo con cui svolgeva il ruolo di capoluogo, ma quell’insistente vigore polemico sapeva di un livoroso e cieco campanilismo paesano che poteva andar bene secoli fa ma che oggigiorno, in presenza di ben altre questioni mondiali, europee, italiane e marchigiane, non aveva alcuna ragion d’essere, se non quella, assai negativa, di un’assurda guerra intestina con morti e feriti da entrambe le parti. Una guerra, oltretutto, condotta con argomenti di basso livello o privi di consistenza. Si pensi ai propositi di secessione e di un’eventuale fuga di Civitanova verso la provincia di Fermo. Si pensi al tentativo, ripetuto come un’ossessione, di far credere che Civitanova fosse rimasta vittima di non si sa quali vessazioni, angherie o rapine da parte di Macerata. Si pensi al sistematico attribuire a Macerata la responsabilità di qualsiasi problema locale, congestione, inquinamento, ordine pubblico, la non facile convivenza tra vocazione industriale e vocazione turistica. Si pensi alla minaccia, in questo caso rivolta anche alla Regione, che prima o poi Civitanova avrebbe fatto da sola, quasi proclamandosi una sorta di Repubblica di San Marino.
Si dirà che ciò rispondeva alla contrapposizione fra il centrodestra di Civitanova e il centrosinistra di Macerata, in Provincia e nei due Comuni. Una contrapposizione fatalmente più aspra in presenza di elezioni. D’accordo. Ma nella pretestuosità di quegli argomenti e soprattutto nell’astio di quei toni (talvolta sembrava di udire i comizi leghisti del peggior Borghezio) era evidente una così scatenata voglia di lite per la lite, una così angusta consapevolezza della realtà e un così scarso senso delle proporzioni che non rendevano merito alle reali virtù di Civitanova e le declassavano a mera rivalsa di borgata.
Sinceri applausi, certo, alle iniziative culturali di Civitanova, ma è da Bar dello Sport seminare la zizzania di una presunta rivalità fra il Festival dello Sferisterio e Civitanova Danza, o che basti un gradevole ma effimero “Tutto in gioco” per adombrare un fantomatico primato culturale, o che si cerchi di far diventare la pur bella Civitanova Alta una primaria eccellenza della memoria storica e architettonica dell’intera provincia (e Camerino, e San Severino, e Treia, e la stessa Macerata?). A ciascuno il suo. E Civitanova, di suo, ne ha tanto, a cominciare dal coraggio del salto nella modernità. Ma il vero progresso, che non è fatto solo di attività produttive, lo si persegue mettendo a frutto, con saggia intelligenza del futuro, le varie vocazioni. Tutte ugualmente preziose, purché legate fra loro. L’ideologia del fare? Ben venga, ma armonizzata da un sano realismo. E mai del fare da sé.

CHI E’ GIANCARLO LIUTI 

 

Nato a Jesi, Giancarlo Liuti è considerato oggi una delle più brillanti e importanti firme delle Marche. Inviato, opinionista, curatore della rubrica “La Posta dei Lettori” del Resto del Carlino, Liuti è stato capo della redazione maceratese dal 1965 al 1970 e responsabile, per un anno, della stessa testata regionale. Tanti i servizi realizzati in giro per l’Europa fino al punto di conquistare, nel 1987, il premio “Giornalista dell’anno”.

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