CHE SENSO HA RITORNARE AL MATTARELLUM?

Da Daniele Salvi Consigliere provinciale e Resp. Organizzazione Pd Marche riceviamo e pubblichiamo:

Alla fine ha fatto bene Bersani a non schierare il partito nella raccolta di firme per ritornare al Mattarellum, pur ritenendo che il referendum sulla legge elettorale può rappresentare una pressione sul Parlamento e uno strumento che a tempo debito potrebbe risultare utile per tentare di cambiare la legge in vigore. Qualsiasi cosa è meglio rispetto alla legge “Porcellum”, la quale infatti non porta il nome di una persona, bensì quello di un animale… Bisogna però anche dire che i precedenti più recenti in materia di referendum sulle leggi elettorali non aiutano e il successo delle ultime consultazioni referendarie è molto dovuto alla sensibilizzazione causata da eventi internazionali come il disastro ambientale e nucleare in Giappone. La drammatica situazione economica e sociale rende i cittadini distanti dal tema della legge elettorale e senza un “affiancamento” di tematiche che riscuotano l’interesse prioritario dei cittadini, penso ad esempio al tema della precarietà del lavoro, è difficile ritenere che il referendum sulla legge elettorale da solo possa raggiungere il quorum. Quel che sorprende, invece, è la convinzione di alcuni esponenti politici promotori del referendum che il Mattarellum possa rappresentare la legge elettorale che serve all’Italia, sino al punto di riesumare sigle, formule e proposte della fine degli anni Novanta, come se nel frattempo nulla fosse cambiato. In primo luogo mi pare che si dimentichino le critiche che da moltissime parti si levarono a quel tempo su una legge che con il suo impianto maggioritario incentivava la frammentazione politica, costringendo a costruire coalizioni amplissime ed eterogenee dove l’ultimo dei contraenti poteva fare la differenza e condizionare tutti gli altri, rendendo così ardue la stabilità e la coesione politica delle maggioranze. Anche per segnare un percorso inverso a questa tendenza è nato nel 2007 il Partito Democratico, che ai suoi inizi ha puntato con forza sull’idea della propria vocazione maggioritaria intesa come autosufficienza. In secondo luogo la quota proporzionale del 25% induceva a ritenere che il Mattarellum non fosse in realtà né carne né pesce, né maggioritario né proporzionale, lasciando ai partiti una voce in capitolo che i sostenitori del maggioritario puro ritenevano un impaccio della “vecchia politica”. Maggioritario puro, occorre ricordarlo, sottoposto ad un referendum nel quale non si raggiunse il quorum. Tra le altre cose non andrebbe dimenticato che il principio di eleggere i propri rappresentanti si concretizzò spesso nella candidatura nei collegi uninominali dei cosiddetti “catapultati”, nel migliore dei casi da Roma; che il meccanismo dello “scorporo” era tanto difficile da spiegare quanto ancor più da capire; che le campagne elettorali uninominali e maggioritarie non inducevano certo alla sobrietà, essendo molto dispendiose e basate sulla personalizzazione del candidato. Ora il Pd ha una proposta di legge approvata dai suoi organismi dirigenti e dai gruppi parlamentari di Camera e Senato. Già questo rende difficile agli occhi dell’opinione pubblica comprendere l’innesco dell’iniziativa referendaria da parte di alcuni suoi esponenti. Una proposta che ha il pregio di prevedere il doppio turno, vera conquista mancata della transizione italiana in tema di norme elettorali, e di favorire alleanze ampie ma omogenee. Una proposta che garantisce la governabilità, insieme ad un bipolarismo più mite e che prevede il diritto di tribuna per le forze minori, oggi escluse dal Parlamento. Il punto più importante, però, è capire quale ruolo vogliamo che svolga il Pd, quell’investimento che abbiamo fatto chiamandoci “partito” e “democratico”, e quale riforma delle istituzioni pensiamo per l’Italia, ammesso che si esca -e si dovrà prima o poi uscire- dalla legge attuale che ha prodotto un presidenzialismo di fatto e la dipendenza del Parlamento dall’esecutivo.
La questione di coniugare rappresentanza e decisione non credo possa scaturire dal ritorno ai “fasti” degli anni Novanta, quasi che quel percorso sia stato interrotto o “tradito”, ma può nascere solo da una lettura critica degli ultimi vent’anni e dal coraggio di scegliere una strada diversa e un diverso equilibrio istituzionale e politico che rimetta al centro l’idea di una democrazia rappresentativa, ma decidente, insieme al ruolo di partiti rinnovati, prendendo tutti insieme atto che al determinarsi dello stato di cose presente non è stata indifferente l’illusione di voler costruire una sorta di democrazia diretta, il cui esito in un certo senso più coerente è stato il plebiscitarismo berlusconiano.

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