CARTE CHOC SUL PREMIER

152843927-39c45ef9-be5b-4fa5-86c6-b1a95be9551dNon so come si concluderà l’indagine mila­nese a carico del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Ma so che i reati che avrebbe commesso secondo i pubblici ministeri sono molto pesanti: «concussione» e «prostituzione minorile». E so che se sul piano delle possibili conseguenze penali il primo reato ipotizzato – la concussione – è il più grave, il secondo reato – la prostituzione minorile – sul piano della va­lutazione morale è addirittura insopportabile. I lettori di Avvenire, del resto, conoscono bene le nostre battaglie contro l’infame industria della prostituzione, contro la pedofilia in tutte le sue forme comprese quelle mercenarie, contro le lu­singhe e le violenze tese a indurre qualunque persona – soprattutto le più piccole e le più fra­gili – a fare mercato del proprio corpo.

Altri, negli anni, hanno accusato questo gior­nale e il mondo cattolico italiano, a causa della chiarezza delle opinioni espresse in proposito, di essere i megafoni di un «moralismo» vecchio e superato. Hanno degnato di superiore condi­scendenza la nostra incapacità di capire che, nel mondo evoluto di oggi, il «mestiere più an­tico del mondo» è ormai una «professione» co­me un’altra, meritevole della mutua, della par­tita Iva, di riconoscimento sociale e, persino, di ruolo politico. Oggi alcuni di questi altri mo­strano di aver cambiato parere e di nutrire un nuovo e vibrante sdegno per i casi (da provare) di prostituzione e di prostituzione minorile che riguarderebbero l’attuale capo del governo. Lo­ro hanno cambiato parere, noi no. Il metro con il quale misuriamo fatti e problemi è sempre lo stesso, e anche solo l’idea che un uomo che sie­de al vertice delle istituzioni dello Stato sia im­plicato in storie di prostituzione e, peggio an­cora, di prostituzione minorile ferisce e scon­volge. Eppure, oggi, nessuno può dire come si concluderà l’indagine milanese sul presidente del Consiglio.
Io so che è arrivata, come un terribile tornado, all’indomani della sentenza della Corte costi­tuzionale che ha in parte corretto e affievolito la normativa sul legittimo impedimento (il mi­ni- scudo posto a tutela dell’attività di un uomo di governo sottoposto a iniziative giudiziarie). Ma soprattutto so che, ancora come un deva­stante tornado, s’è abbattuta non soltanto sul principale leader politico italiano e su un grup­po di suoi amici e amiche e conoscenti, ma sul­l’immagine internazionale del nostro Paese, sui discorsi tra genitori e figli, tra colleghi, persino tra passanti. So che questa indagine, questa ar­ticolata ipotesi d’accusa col suo corredo di no­mi esotici e di intercettazioni piccanti, è esplo­sa fuori dal forno dov’era stata cucinata ripor­tando sul tavolo – e non solo quello delle istitu­zioni, ma anche quello da pranzo delle famiglie italiane – il fumo più che mai tossico della guer­ra tra settori del mondo delle toghe e settori del mondo della politica e un immangiabile ‘piat­to forte’ a base di potere, sesso e soldi.
So, poi, un’altra cosa molto importante. Tutto questo poteva non accadere. Questa escalation – il passaggio del presidente del Consiglio da possibile «parte lesa» a indagato principe nel fascicolo dedicato al cosiddetto caso Ruby – po­teva non essere sotto i nostri occhi e al primo posto nei nostri discorsi in un momento in cui su ben altro ci si dovrebbe concentrare per il be­ne del Paese. Si può legittimamente argomen­tare sul motore di questo ennesimo e increscioso affondo giudiziario contro Berlusconi, ci si può persino interrogare sulle straordinarie energie investigative investite in questa vicenda da strut­ture centrali di polizia e dalla procura milane­se. Ma ci si deve interrogare, credo, anche e so­prattutto su altro. «In qualunque campo, quan­do si ricoprono incarichi di visibilità, il conte­gno è indivisibile dal ruolo», annotò con preoc­cupazione lo scorso 27 settembre il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco. Quella sua preoccupazione era ed è sentita da tanti. E in questi anni questo giornale ha ripetutamente ri­cordato a tutti – premier in primo luogo – che per servire degnamente nella sfera pubblica bi­sogna sapersi dare, e tener cara, una misura di sobrietà e di rispetto per se stessi, per ogni altro e per il ruolo che si ricopre.
Io non so, insomma, come si concluderà l’in­dagine milanese a carico del presidente Berlu­sconi. Ma so che deve concludersi presto. A noi italiani, a tutti noi, comunque la pensiamo e co­munque votiamo, è dovuto almeno questo: un’uscita rapida da questo irrespirabile polve­rone. E ognuno deve fare per intero la propria parte perché questo avvenga con tutta l’indi­spensabile pulizia agli occhi dell’Italia e del mondo.


Alla Camera le carte choc dei pm
L’atto d’accusa in 389 pagine: molte giovani si sono prostituite col premier

di GIOVANNI GRASSO
Da ieri è a disposizione dei membri della giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera un faldone di 389 pa­gine, contenente verbali di inter­cettazioni e interrogatori sulla vi­cenda Berlusconi­Ruby. Ieri molti dei commissari si so­no messi in fila per leggere gli atti: ma anche se il presi­dente della giunta Pierluigi Casta­gnetti ha vietato trascrizioni e foto­copie, molti brani degli scottanti ver­bali sono sono sta­ti mandati a men­te e dati in pasto ai giornalisti che affollavano Monte­citorio fin dalla prima mattina. La domanda dei pm milanesi è quel­la di chiedere l’autorizzazione alla perquisizione dello studio di Giu­seppe Spinelli, appartenente alla segreteria di Berlusconi.
Sulla richiesta si profila già una bat­taglia a colpi di procedura. La mag­gioranza, nella giunta per le auto­rizzazioni a procedere, conta un vo­to in più delle opposizioni e sem­bra piuttosto compatta. E ha rice­vuto, per oggi, una convocazione ufficiale da parte del capogruppo Cicchitto, per serrare ancor di più le file. Tanto che il Pd ha già fatto sa- pere: «Ci sarà una nostra relazione di minoranza». Ma il significato del voto, che dovrà essere confermato in aula, trascende inevitabilmente l’aspetto tecnico giudiziario. E di­venterà un ennesimo caso politi­co.
Secondo la richiesta inoltrata alla giunta, dal materia­le si evidenzia l’atti­vità «di induzione e favoreggiamento alla prostituzione di soggetti maggio­renni » e della mi­norenne Ruby; mentre la consiglie­ra regionale Nicole Minetti avrebbe «individuato, sele­zionato e accompa­gnato un rilevante numero di giovani donne che si sono prostituite con Silvio Berlusconi (…) dietro paga­mento di corrispettivo in denaro». La maggioranza in giunta fa qua­drato. Dice ad esempio Enrico Co­sta: «Senza entrare nel merito del­le accuse è evidente che i giudici milanesi hanno fatto un autogol: attribuendo a Berlusconi il reato di concussione, ne hanno conferma­to la natura di presidente del Con­siglio. E pertanto è evidente che la competenza diventa automatica­mente quella del tribunale dei mi­nistri ». Aggiunge Jole Santelli: «Si imbastisce il processo e poi si fa in modo che i documenti arrivino al- la Camera per colpire il premier sul piano dell’immagine».
Ma per Marilena Samperi (Pd) la realtà è diversa: «Se si fosse con­sentita la perquisizione nell’ufficio di Spinelli, il dossier non sarebbe mai arrivato alla Camera. Quanto alla competenza del Tribunale dei ministri, Berlusconi non ha com­piuto l’eventuale reato nella fun­zione di premier, ma facendo vale­re la sua carica per un problema di carattere personale». E, comunque, «si tratta di un quadro assoluta­mente squallido: ma purtroppo molti italiani sono assuefatti o in un certo senso si identificano in certi comportamenti».
Castagnetti ha affidato al suo vice Leone (Pdl) il compito di fare il re­latore.
L’esame comincerà merco­ledì.
E saranno scintille.

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