Ci sono due scene, nel fine regno di Berlusconi, che dicono la sua caduta con crudezza inaudita: più ancora del voto del rendiconto dello Stato che ha attestato, ieri, lo svanire della maggioranzaAmbedue le scene avvengono fuori Italia, trasmesse dal mezzo che Berlusconi per decenni ha brandito come scettro: la tv. La prima è il riso di Sarkozy e Merkel, quando una giornalista chiede se Roma sia affidabile. È l’equivalente del lancio di monete su Craxi: un’uccisione politica. La seconda scena è del 4 novembre, dopo il G20 a Cannes, e forse è quella che parla di più. Con volto tirato, stupito, il Premier ripete che di crisi non c’è traccia, che «per una moda passeggera» i mercati s’avventano sul nostro debito sovrano: «Noi siamo veramente un’economia forte, la terza economia europea, la settima economia del mondo… la vita in Italia è la vita di un Paese benestante, in tutte le occasioni questo si dimostra… i consumi non sono diminuiti, i ristoranti sono pieni, con fatica si riesce a prenotare posti negli aerei, i posti di vacanza nei ponti sono assolutamente iperprenotati… ecco, non credo che voi vi accorgiate, andando a vivere in Italia, che l’Italia senta un qualche cosa che possa assomigliare a una forte crisi! Non mi sembra!» Vale la pena soffermarsi su questa frase — su questo «non credo», «non mi sembra» — perché in pochi secondi apprendiamo quel che è stato, ed è, il berlusconismo: l’apparenza che usurpa il reale, e il vocabolario di tale usurpazione. Non è il linguaggio della politica, che anche quando s’ingarbuglia s’adatta astuto alle circostanze. Non è neanche il linguaggio di una classe: in questo caso, di un imprenditore sceso in politica perché messo alle strette dalla giustizia. È il linguaggio dello spot promozionale: insistente, sempre eguale a se stesso, sempre indirizzato al cittadino che di politica non vuol sapere, sempre pronto ad annusare il possibile cliente in chi sta appeso alla Tv. Per il pubblicitario non c’è crisi, non ci sono precipizi, ma un mondo liscio, parallelo a quello — reale — che sta «là fuori». Nei disastri il pubblicitario c’è o non c’è a seconda delle convenienze: iper-presente all’Aquila, iperlatente in Liguria e a Genova. In pieno sfascio economico la réclame non smetterà di esibire sontuosi sofà, mogli che corrono ai centri benessere, lussuose automobili che una giovane coppia, piccata, non compra perché le ritiene,
nientemeno, «troppo poco care». Ecco, il quasi ventennio Berlusconi è stato questo: uno show che dominava le menti anche se sporadicamente governava la sinistra. Un Truman Show, che alla fine beve il cervello stesso del suo demiurgo. Ricordate il finale del film? È il risveglio che Eugenio Scalfari invoca nell’articolo di domenica. Truman, l’eroe in fuga, giunge ai limiti estremi di quello che crede essere il mondo ed è invece un immenso studio Tv. Col proprio veliero cozza contro una parete che s’erge all’orizzonte e simula, tutta dipinta d’azzurro, il cielo ai confini con le acque (lo spazio azzurro dei fan di Berlusconi, nel sito Pdl). Dalla cabina di regia è interpellato dal capo della Grande Manipolazione, Christof, e Truman che ha scoperto la verità gli chiede: «E io chi sono?» — «Tu sei la star» — «Non c’era niente di vero…» — «Tu, eri vero. Per questo era così bello guardarti. Ascoltami Truman, là fuori non troverai più verità di quanta ne esista nel mondo che ho creato per te: le stesse ipocrisie, gli stessi inganni, ma nel mio mondo, tu non hai niente da temere… Io ti conosco meglio di te stesso. Tu hai paura. Per questo non puoi andar via». La sfera di cristallo s’infrange quando Truman scoppia a ridere, recita la frase-spot che ripeteva nel finto villaggio, e esce dallo show: «Caso mai non vi rivedessi… Buon pomeriggio, buona sera e buona notte! Già..».
Accade così il risveglio ma non sarà facile, perché quasi tutti hanno concorso alla costruzione della sfera con nuvole, notti, cieli finti. Perché tanti si sono abituati alle frasi-spot, all’infantile ecolalia. Anche la sinistra ha concorso, fin da quando permise che un proprietario di reti tv si candidasse a premier. Non dimentichiamo come finirono i governi Prodi, affossati da chi
pretendeva sostenerli e parve ignaro che il tycoon perdeva magari il governo ma non il potere. L’ultimo esecutivo di sinistra, nel 2006-2008, fu considerato fallimentare dagli stessi alleati di Prodi perché troppo rigoroso in economia, troppo preoccupato di sincronizzare i tempi italiani con l’orologio europeo. Chi nomina ancora in pubblico Vincenzo Visco, dipinto dalla destra come Dracula assetato di sangue perché in lotta con l’evasione fiscale?
Eppure Tremonti ha dovuto riesumare non poche sue misure: oggi l’evasore è ritratto come insetto parassita, parola che Visco non usò. L’altro giorno, intervistato da Lilli Gruber a 8½, Enrico Letta è stato evasivo sull’austerità. Senza Berlusconi, ha detto, noi «non abbiamo davanti un tempo di drammi quanto alle misure da prendere. L’Italia è un Paese che ha
fondamentali assolutamente solidi, forti. Ha imprenditori, ha lavoratori, ha ricchezze, ha patrimoni. L’Italia ha tante, tante, tante possibilità di farcela! Noi non siamo la Grecia! Siamo proprietari delle nostre case, proprietari in buona parte del nostro debito pubblico. L’Italia ha la ricchezza!» Che dovremo fare, caduto questo governo? Ci salveremo «facendo scelte che indichino la terra promessa. Perché ci sono una serie di importanti riforme che
non sono fatte solo per sacrificarsi: ma per cambiare ed essere migliori!» Tutto questo è vago, e non così diverso, in fondo, da quanto detto dal Premier a Cannes. Perfino certi suoi tic verbali sono ripresi: l’ubiquo avverbio “assolutamente”, o le infantilizzanti parole a raffica (tante tante tante possibilità, riecheggianti la grande grande grande riforma giudiziaria). Non è vero quello che si legge in queste ore: «Berlusconi non esiste». Centro e sinistre si stanno dimostrando responsabili, ma non è evidente che abbiano, della crisi, una visione davvero chiara. Che siano pronti ad affrontare il tema destinato per volontà del Premier a sovrastare la campagna elettorale: l’Europa. Nell’attacco il centrosinistra è bravo. Molto meno nel
contrattacco. Continuerà a denunciare il commissariamento, o lavorerà su misure più eque ma per noi necessarie? E come replicherà allo spot di Berlusconi, secondo cui è colpa dell’euro se stiamo male? Possibile che nessuno gli ricordi che al governo c’era lui, quando l’euro fu introdotto nel 2002 e i prezzi s’impennarono senza trasparenza né controllo alcuno? Dovrebbe far riflettere il fatto che il dibattito interno al Pd, o la battaglia europea su una
vera Banca centrale, prestatrice di ultima istanza, avvengano soprattutto sul Foglio.
Uscire dal Truman Show significa rifare le istituzioni italiane, oggi sfatte. Non è chiaro se la sinistra darà alla Rai l’indipendenza dai partiti che possiede la Bbc. Se lotterà in Europa per trasformarla in qualcosa di più democratico e sovranazionale. Se riempirà di contenuti i discorsi sull’etica pubblica, combattendo corruzione, cricche, mafie. Se vorrà la legge elettorale reclamata dai cittadini, e candiderà parlamentari debitori verso gli elettori,
non i partiti. Se contrasterà l’inadeguatezza e i fallimenti della seconda repubblica senza proporre tutti i mali della prima. Promettono male, i posti nelle liste di centro sinistra garantiti ai transfughi Pdl. Non so cosa intendesse Prodi, quando domenica su Repubblica ha detto che «Bersani è una persona eccellente, di grandi capacità, ma non riesce a “uscire”». A me pare che parlasse di un’uscita dal deserto del reale: dal Truman Show. Berlusconi scimmiotta Mao: «Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente». Siamo sicuri che non lo scimmiotti anche la sinistra? I sogni utopici, dice Slavoj i ek, eliminano il “rumore di fondo”: cioè la realtà. Siamo sicuri che questo rumore sapremo udirlo, capirlo, restituirgli uno spazio?