VIOLENZA SULLE DONNE: LA STORIA DI BETTY

E’ una vergogna, una grande sconfitta sociale la violenza quotidiana sul genere femminile. Le parole le abbiamo dette tutte, scritte tutte, e allora vi racconto una storia, la storia di Betty.
Avevo vent’anni, studiavo in Ancona e condividevo un appartamento scapigliato con altri tre studenti: appartamento misto, una cosa grossa in quegli anni!
Di fronte a noi una famiglia con due bambini di tre e cinque anni. Il padre non lo vedevamo quasi mai: un uomo piccolo ma con un fisico nervoso, scattante. Un uomo di poche parole con gli occhi duri.
Lei la vedevamo sempre: piccolina, biondina, vestiva senza pretese, sempre trafelata con i figli, la spesa, la carrozzina, i capricci.
Non se la passava bene, lo capivo dai piccoli prestiti di pasta, zucchero, caffe’. Noi ragazzi avevamo cominciato a fare finta di avere eccessi di questo o quel bene di consumo, era poca cosa, ma a lei servivano, lo capivamo .
Ad un certo punto cominciarono le urla, i rumori, le botte contro i muri. Le prime volte ci siamo guardati e non siamo intervenuti. Poi gli eventi diventarono piu’ frequenti e noi andavamo a bussare alla porta.
Una mattina incontrai Betty, che sembrava annegare nel suo cappotto, aveva gli occhi pesti, zoppicava, era stravolta.
La portai a prendere un caffe’, la supplicai di denunciare il marito, mi racconto’ un inferno che durava da 5 anni, un inferno che potete trovare in migliaia di testimonianze: il copione e’ analogo.
Quella sera noi ragazzi discutemmo sul cosa fare, se prendere l’iniziativa di denunciare ma quelli erano gli anni della preistoria, le forze dell’ordine tendevano a non credere alle vittime, figuriamoci a degli studenti!
Erano le tre di notte quando la sarabanda ricomincio’: uscimmo tutti e trovammo Betty rattrappita sulle scale che si teneva una mano, i bambini urlavano e il marito che la stava trascinando di nuovo in casa. Gli togliemmo Betty dalle mani, portammo i bambini via e chiamammo i carabinieri che lo trovarono a tempestare la nostra porta. La flagranza del reato aiuto’ Betty, nel processo, la patrocino’ una giovane avvocata piena di passione e disposta a lavorare gratis. Eppure, anche in quel caso udimmo al processo le parole di sempre: era lei ad irritare il marito, spendeva male i soldi che lui le dava mentre stava a casa a fare “la signora “.
Betty fu presa in carico dai servizi sociali, cambio citta’ e la sua vita divenne normale: fini’ di studiare, trovo’ un lavoro, i figli crebbero bene.
Una storia finita bene, finita bene per una serie di circostanze fortuite.
Ma se oggi sono qui a raccontare una vicenda vecchia di 40 anni e’ perche’ nonostante prese di coscienza, leggi, mutamenti sociali, fino ad oggi sono morte in Italia 105 donne, donne con alle spalle una storia come quella di Betty, solo che per loro e’ finita male .
Il patriarcato e’ una radice profonda e velenosa, le tensioni sociali sono forti, la sperequazione aumenta e le donne sono nella fascia piu’ debole: oggi, come ai tempi di Betty.
Come per il nostro pianeta e il cambiamento climatico: il tempo delle parole e’ finito, siamo stanche e una sociata’ che permette tanto orrore non ci merita.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *