STATO SCONFITTO DA UN PUGNO DI TEPPISTI

13La principale di oggi è la mobilitazione degli “indignati” in tutte le piazze dell’Occidente, da Manhattan a Londra a Bruxelles, a Berlino, a Parigi, a Madrid. Ma a noi preoccupa soprattutto ciò che è avvenuto a Roma. Mentre centinaia di migliaia di giovani tentavano di sfilare pacificamente nelle via della capitale poche centinaia di “black bloc” in tenuta da guerriglia hanno compiuto violenze e provocato la polizia tentando di forzarne i cordoni. Gli scontri hanno coinvolto la massa dei pacifici dimostranti, come è avvenuto in molte altre occasioni. Mentre scriviamo gli incidenti sono ancora in corso, molti manifestanti hanno tentato di isolare i facinorosi che hanno reagito picchiandoli a
colpi di spranghe. È deplorevole che ancora una volta la polizia e i servizi di sicurezza non siano stati in grado di neutralizzare preventivamente i teppisti e i provocatori che dovrebbero esser
noti e rintracciabili. Speriamo che le violenze non continuino in serata. Le nostre cronache ne daranno ampia informazione.
Quali che ne siano gli esiti il fatto certo è comunque l’esistenza ormai evidente di un movimento internazionale. La sua antivigilia è stata la “primavera araba” come furono definiti i moti di piazza qualche mese fa al Cairo e poi a Tunisi e a Bengasi, senza scordare le sommosse del 2008 e del 2010 nelle “banlieue” parigine.
L a vigilia è avvenuta alcuni mesi fa a Madrid, poi la fiaccola è sbarcata a New York al grido di “Occupy Wall Street”. Adesso le dimensioni del movimento sono globali. D’altronde, è contro i danni provocati dalla globalizzazione che il movimento è nato, si è diffuso e si rafforza col passare del
tempo. Effimero? Non credo. Esprime la rabbia d’una generazione senza futuro e senza più fiducia nelle istituzioni tradizionali, quelle politiche ma soprattutto quelle finanziarie, ritenute responsabili della crisi e anche profittatrici dei danni arrecati al bene comune.
Gli “indignati” non sono né di sinistra né di destra, almeno nel significato tradizionale di queste parole. Ma certo non sono conservatori. Hanno obiettivi concreti anche se talmente generali da diventare generici: vogliono che i beni comuni siano di tutti; non dei privati, ma neppure dello Stato o di altre pubbliche autorità poiché non hanno alcuna fiducia nella proprietà privata e neppure in
quella pubblica amministrata da caste politiche e burocratiche.
I beni pubblici debbono esser messi a disposizione dei loro naturali fruitori, cioè delle persone che vivono e abitano in quei luoghi e che decideranno sul posto le regole del valore d’uso nelle “agorà”, nelle piazze di quel luogo. L’acqua è un bene d’uso comune, l’aria, le foreste, le reti di comunicazione, le case, le fabbriche, i trasporti, gli ospedali. Le banche? Non servono le banche, tutt’al più servono a render facili i pagamenti che avvengono sulla base del valore
d’uso e non del valore di scambio. C’è una dose massiccia di utopia in questo modo di pensare; c’è un’evidente reminiscenza di comunismo utopico; c’è anche una tonalità “francescana”. E c’è — l’ho già scritto domenica scorsa e qui lo ripeto — un rischio estremamente grave: un contagio di populismo.
Esiste storicamente il populismo dei demagoghi, costruito per accalappiare i gonzi, e il populismo degli utopisti che predicono la Città del Sole. Ma non esistono Città del Sole, almeno in questa terra. Chi crede che ce ne sia una ultraterrena fa bene a vagheggiarla ma qui, tra questi solchi, neppure il Redentore la portò perché — fu lui il primo a dirlo — il suo regno non era di questo mondo.
Certo le foreste non vanno abbattute. Certo l’aria non va inquinata. Certo le banche non debbono truffare i clienti e ingrassare sulla truffa. Certo i cittadini debbono partecipare alla gestione della cosa pubblica e non limitarsi a votare con pessime leggi elettorali una volta ogni cinque
anni. E così via. Bisogna dunque fare buone leggi e farle amministrare da buona e brava gente e bisogna infine che vi siano efficaci e imparziali controlli su quelle gestioni. Gli “indignati” sono indignati perché tutto ciò manca e il futuro gli è stato rubato. Sono d’accordo con loro anche perché a me e a quelli della mia generazione è stato rubato il presente e la memoria del passato e vi assicuro che non si tratta d’un furto da poco. Ma so che non è con l’utopia che si risolve il problema.
L’utopia è una fuga in avanti alla quale subentra ben presto l’indifferenza. Il vostro entusiasmo è sacrosanto come la vostra pacifica ribellione, ma dovete utilizzarlo per la progettazione concreta del futuro, altrimenti da indignati finirete in rottamatori e quando tutto sarà stato rottamato -il malfatto insieme al benfatto — sarete diventati “vecchi e tardi” come i compagni di Ulisse quando varcarono le Colonne d’Ercole e subito dopo naufragarono.

Di Eugenio Scalfari da “La Repubblica del 16 orrobre 2011

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