“SONO STATA AMORE”…ROSETTA MARTELLINI

34707_martellini_std“Sono stata Amore” debutta il 16 luglio presso il Teatro ANNIBAL CARO di Civitanova Marche Alta

“Ho fatto della mia vita il capolavoro che avevo sognato di creare con la poesia: son stata, sono pur sempre poesia vivente, oh, non perfetta, anzi spesso confusa, caotica, ma enorme, shakespeariana… Chi ne fisserà il ricordo, chi lo tramanderà?”
Sibilla Aleramo

Debutterà il prossimo 16 luglio “Sono stata amore” spettacolo teatrale dedicato alla figura di Sibilla Aleramo allestito dalla compagnia La Fabrica Teatro, in coproduzione con il Teatro Stabile delle Marche. SONO STATA AMORE è l’evocazione teatrale di una “somma di vita”, un viaggio attraverso una coscienza femminile straordinaria e anticipatrice, quale è stata quella di Sibilla Aleramo. È “svelamento” di quel sogno d’amore che Sibilla ha voluto portare nella mischia e mostrare spudoratamente anche con quella sensualità tutta femminile che le ha fatto attribuire i peggiori appellativi a partire dall’anagramma del suo cognome trasformato in Amorale. Sibilla, donna ormai risolta, racconta di sé, mettendosi a nudo, quasi confessandosi, in un serrato, diretto e complice dialogo con il pubblico, scegliendo a volte l’ironia, altre la provocazione, ma sempre guidata dalla sincerità. Dallo stupro subito da ragazzina, a tutti i suoi amori, quello per il figlio innanzitutto, dalla donna che ha abbandonato il destino di madre ed è pervasa di malinconia, a quella che si fa portatrice di una grande missione, attraverso l’impegno politico, in un alternarsi continuo tra passato e presente, supportata da immagini filmate che entrano nel racconto sottolineando i passaggi emotivi. Alla fine una rinascita, una preghiera, cantata, urlata che invece di chiudere i confini dell’accoglienza, li allarga oltre qualsiasi orizzonte. “Che la gioia mi avvolga, che io mi senta soltanto fluttuare nella gioia!” Anima instancabile di questo progetto, di cui è interprete principale, Rosetta Martellini, attrice marchigiana da sempre attenta al mondo femminile che ha portato in scena spettacoli dedicati a Paolina Leopardi, Dolores Prato, Joyce Lussu. Con lei abbiamo chiacchierato cercando di analizzare in profondo il senso e la storia di questa produzione, tenendo ben presente la particolare relazione che si instaura tra l’attrice e le donne che si trova ad interpretare.

Lei è l’ideatrice di questo spettacolo su Sibilla Aleramo, in precedenza si era dedicata alla figura di Joyce Lussu. Cosa l’ha spinta ad intraprendere una ricerca verso queste donne del passato? Che legami ha trovato nelle loro vite con la contemporaneità?
Il mio percorso teatrale nel mondo femminile in realtà è iniziato ancora più lontano nel tempo, con Paolina Leopardi, sorella di Giacomo. Essendo di origine marchigiana sono sempre stata attenta e incuriosita dalla cultura del mio territorio.
Scoprii per caso che Giacomo aveva una sorella che con lui aveva condiviso studi e formazione, ma lei in quanto donna, aveva poi condotto una vita da reclusa, malgrado una fortissima sensibilità e una cultura ricchissima.
Più tardi ho incrociato Dolores Prato, altro personaggio travagliato e sofferente, sempre legato alle Marche. Da lì non ho più lasciato che il caso mi indicasse un percorso ma ho scelto di affrontare le “donne di marca”, prima Joyce Lussu e ora Sibilla Aleramo. Joyce che ha amato profondamente la mia regione, pur essendo una cittadina del mondo e Sibilla che invece da questa regione, anzi proprio dal paese dove io sono nata, è scappata. Proprio per questo, Sibilla più delle altre, mi ha sempre accompagnato, ma ammetto di non aver mai, prima, approfondito la sua conoscenza, se non attraverso il romanzo UNA DONNA e qualche poesia.
La molla è stata la visione di una mostra, a lei dedicata, curata da Alba Morino, nella quale ho scoperto la sua complessità e la sua ricchezza, il suo essere anticipatrice e anche il fascino delle sue contraddizioni, che la rendono molto contemporanea e soprattutto molto umana. Mi sono sempre chiesta se si fossero mai incontrate Joyce e Sibilla, non sono riuscita però a scoprirlo, anzi lancio una richiesta pubblica; quello che mi è stato riferito è che Joyce non aveva una opinione positiva su Sibilla, anzi sembra che l’abbia insultata pubblicamente, lanciandole uno di quegli epiteti che l’hanno sempre accompagnata. Sono rimasta molto dispiaciuta e sorpresa da questo, perché essendo entrambe due prime donne, hanno sempre lottato, entrambe, per la libertà. Sono però di due generazioni molto distanti, Joyce ha vissuto tutto il novecento, essendo venuta a mancare nel 1998, e ha partecipato in prima persona alle grandi lotte, come partigiana, come femminista, come politico, come intellettuale, e negli ultimi anni si è occupata di questioni ecologiche, prima tra tutte la questione dell’acqua, sempre con uno spirito battagliero e indomito; facendo della cultura dell’incontro, della relazione, dello scambio, a volte anche molto “dialettici”, la sua modalità principe. In una società come la nostra dove si è sempre più restii a partecipare, a schierarsi, a indignarsi, lei è sicuramente una donna da prendere come esempio e come stimolo. La sua domanda ricorrente sembra che fosse:”Cosa fai tu per cambiare il mondo?”. E a volte si prova un certo imbarazzo a trovare la risposta, ma è molto utile continuare a porsi la domanda.
Sibilla, ci ha lasciati nel 1960, e quindi ha vissuto un’epoca diversa, ma soprattutto è impregnata di una cultura diversa. Si definisce lei stessa un’aristocratica, ammette di essere stata a lungo estranea dalla storia e questo vuoto della memoria, che scopre quasi alla fine della sua vita, le provoca sgomento, le fa quasi ribrezzo, ma Sibilla ha fatto della sua vita un capolavoro, un capolavoro di libertà, pagando sulla sua pelle tutte le conseguenze. Non voglio ribadire la forza della sua battaglia per l’”autonomia della spiritualità femminile”, come lei stessa la definisce, è l’aspetto della sua figura intellettuale più riconosciuto, preferisco soffermarmi su un aspetto apparentemente più marginale, che però a mio avviso la rende così vicina a noi, donne e uomini di oggi, che lottiamo anche per sopravvivere, in questo periodo così incredibilmente difficile. Sibilla ha sempre convissuto con la precarietà. La sua scelta di libertà, di indipendenza e autonomia, il suo lavoro, sicuramente non stabile e suscettibile di buona e cattiva sorte, l’hanno costretta ad affrontare la fatica del vivere quotidiano, senza un compagno o marito che la mantenevano, come allora poteva essere convenzione sociale. Lei stessa racconta di un episodio che nella sua semplicità riassume la sua condizione: un giorno una signora, visibilmente ricca, le chiese una copia di un suo libro in omaggio, e lei scelse di non offrirla, dichiarando che era frutto del suo lavoro e quindi aveva diritto ad esser pagata; questo episodio le ispirò un articolo che pubblicò poco tempo dopo sulle pagine dell’Unità dal titolo:”Anche i poeti mangiano!” e che scatenò una mobilitazione di solidarietà nei suoi confronti. Certe contraddizioni che le vengono contestate, l’aiuto chiesto a Mussolini ad esempio, in primis, che lei ricorda sostenendo di non aver chiesto aiuto, ma di aver esposto la sua situazione e di aver chiesto di agire di conseguenza, sembrano, alla luce di questo, meno condannabili, meno criticabili.

Calarsi in questi personaggi cosa ha significato per la sua vita?
La domanda è molto intima. Intanto cambierei la definizione da personaggi a persone, perché c’è una differenza sostanziale. Il rapporto che si instaura con loro è di maggiore rispetto, e molta parte di immaginazione attoriale viene meno, perché non si lavora da finzione a finzione, ma da realtà a finzione. Quando un personaggio è raccontato nell’arco di un testo drammaturgico, tutto il resto è da creare, tutto quello che è avvenuto prima, le sue relazioni, le sue scelte, insomma la sua storia. Quando ci si relazione con una persona realmente esistita tutto ciò è possibile saperlo, si può ricostruire quasi fedelmente la sua vicenda personale, si possono persino incontrare persone che l’hanno conosciuta e che le sono state amiche. Con Joyce a me è capitato spessissimo, ho parlato persino con suo figlio.
Con Sibilla questo non è avvenuto, ma lei ha lasciato talmente tanto materiale diaristico che si ha la sensazione di leggere le confidenze di una persona cara.
Attraverso l’interpretazione di un personaggio si legge sempre la propria vita e questo riflettersi è ancora più accentuato quando il personaggio è una persona. Diventa esemplare. Si fa un lavoro profondo di scavo per arrivare ai pensieri che ci sono dietro le parole, ai perché di certe affermazioni, di certe scelte, si condividono emozioni, gioie e paure, dubbi e slanci.
Se davanti a Joyce ho avuto la sensazione di essere una mediocrità e una sua grande foto nella mia casa me lo ricorda quasi ogni giorno, davanti a Sibilla ho avuto la certezza di aver amato troppo poco! Sono state due vite straordinarie le loro!

Quanto è complicato e che percorsi ha dovuto intraprendere per produrre questo genere di spettacoli/opere?
Purtroppo non è così semplice come potrebbe sembrare, è vero, perché non sono spettacoli di grande diffusione, affrontano personaggi ancora oggi ritenuti scomodi. Su Sibilla lavoro da quasi un anno. Avendo la direzione artistica della compagnia io lancio l’idea e cerco di raccogliere intorno ad essa innanzitutto la condivisione di un gruppo artistico del quale ho fiducia, ma questo non basta, alla fiducia deve unirsi anche una sintonia relazionale e una passione comune. Per lo spettacolo SONO STATA AMORE su Sibilla alla regia ho coinvolto Luigi Moretti, una collaborazione di lunga data che unisce professionalità e amicizia, e che ha realizzato con me, tra l’altro anche lo spettacolo su Joyce Lussu; per il lavoro su Sibilla penso che sia una scelta giustissima, le sta offrendo tutta la sua capacità di cogliere le fascinazioni estetiche e insieme le sfumature poetiche. Anche per la musica ho mantenuto la collaborazione con Andrea Mei, uno dei più importanti compositori dei Nomadi, che ha una grande attitudine a mettere tutto il suo talento, con umiltà, a servizio del lavoro teatrale. La novità è l’introduzione nel gruppo della film-maker Barbara Schröer, una giovane artista tedesca che ha regalato al progetto oltre alla sua prospettiva femminile, anche una visione europea, aperta, mai scontata che ha permesso al lavoro di acquisire un taglio molto contemporaneo.
La parte artistica è quella più gratificante, ad essa va affiancata la parte organizzativa che invece è sempre la più complicata da mettere insieme ma che in questo progetto siamo riusciti a fare unendo collaborazioni importanti. Teatro Stabile delle Marche e Fabrica Teatro sono i produttori principali, accanto ad essi abbiamo avuto la fortuna di trovare la collaborazione degli organizzatori del Festival Popsophia e del Comune di Civitanova Marche, il sostegno della Regione Marche e i patrocini dell’Università di Macerata, della Fondazione Gramsci e dell’Istituto Gramsci Marche; con loro stiamo sviluppando un progetto per la pubblicazione della drammaturgia con interventi critici dei docenti dell’Università stessa.
L’aspetto più interessante della costruzione progettuale è sicuramente quello di comporre un pacchetto culturale articolato, che non si limiti allo spettacolo, ma che possa offrire prospettive e spunti diversi e che possa essere fruito da un pubblico non solo teatrale.

Il fascino di Sibilla Aleramo è senza dubbio ancora molto forte, insieme alle tante contraddizioni che hanno caratterizzato la sua vita. Da quale punto di vista è partita per scrivere questo spettacolo? Che donna pensava di incontrare e che donna ha incontrato.
Dopo aver visto la mostra a lei dedicata e deciso di scrivere io personalmente la drammaturgia, mi sono ovviamente posta il problema. Da dove parto? È vero che avevo già deciso di lavorare sui Diari, da tutti ritenuti, dopo il romanzo UNA DONNA, la sua scrittura migliore, più vera, meno artefatta. Sapevo che, leggendo, la strada si sarebbe palesata, ma io dovevo avere anche la mia, e cercare soltanto il punto di incontro. Proprio quei giorni della mostra una mia amica mi raccontò di aver assistito a una conferenza su Sibilla e i futuristi e che un docente, di fronte a un pubblico di giovani studenti, aveva liquidato Sibilla, definendola una “puttana”.
Nella sua vita Sibilla ha ricevuto epiteti anche peggiori, “lavatoio sessuale” personalmente lo trovo indicibile, ma ha vissuto in un’epoca dove le sue scelte, erano comprensibilmente osteggiate e giudicate, era convenzione sociale disapprovarle, erano rivoluzionarie. Ma che oggi qualcuno si possa permettere di definire una donna che ha lottato strenuamente per la sua libertà, pagando sulla sua pelle questa scelta e conducendo una vita che gli uomini di allora condividevano (del numero di amanti di Quasimodo non si parla mai!), e che rientrava nei canoni sociali maschili, trovo che sia inaccettabile, intollerabile, inammissibile!
Ho anche pensato che fosse stato un caso isolato, ma altre piccole storie, sempre legate a Sibilla, mi hanno confermato, con mia profonda amarezza, che questa prospettiva è ancora oggi decisamente ferma e solida. Lo spettacolo ha l’intento di scalfirne un po’ la durezza.
Reduce e impregnata della scrittura di Joyce, quando mi sono approcciata a Sibilla ho subito fatto un paragone, forse improprio, forse sbagliato, ma continuavo a cercare leggerezza e ironia, di cui Joyce è maestra. A Sibilla manca completamente, e subito non riuscivo a capacitarmene, non lo accettavo. Mi è salita una sorta di insofferenza, di smania, e ho faticato a procedere. Le prime letture facevano riferimento alla sua relazione con Matacotta e malgrado lui avesse appena vent’anni e lei sessanta, era altrettanto negativo, depresso, malinconico. Insomma una coppia insopportabile! Poi lentamente mi sono lasciata pervadere da questo suo mondo inquieto, da questo scandaglio continuo della sua coscienza, da questa sua fatica di vivere e insieme da questa forza inesauribile, da questa capacità di ricominciare, sempre, sempre credendoci. Lo stupore più grande che sento oggi, ora, va alla sua facoltà, malgrado le sofferenze, ad abbandonarsi comunque alla poesia. “Donna e poeta, duplice sortilegio”.

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