SE IL CALCIO È CRIMINALE

calcioE ora c’è un gruppo su Facebook che vorrebbe Simone Farina in nazionale. Da un eccesso all’altro,come capita nei Paesi malati. Simone Farina non è un santo, né un eroe: è una persona perbene, un calciatore di una piccola società di provincia (il Gubbio) che ha denunciato il tentativo di corromperlo. Volevano pilotare il risultato di Gubbio-Cesena, partita di Coppa Italia. Gli hanno offerto 200.000 euro: cifra interessante, per chi gioca in serie B. Ha rifiutato, e ha denunciato il corruttore. Ha fatto quel che dovrebbe fare ogni persona onesta. Quasi sicuramente Simone Farina non merita – come calciatore – di giocare in nazionale, e regalargli una presenza con la maglia azzurra sarebbe un gesto squisitamente simbolico. E in qualche misura retorico e fasullo: crede, il calcio, di lavarsi così la coscienza? Premiando la normalità, e ammettendo implicitamente che nulla è più normale? Sapete qual è la cosa più brutta, in questa bruttissima storia? L’indiretta conferma delle vox populi, delle leggende metropolitane, dei discorsi da bar. Quante volte avete sentito dire, o magari avete detto voi stessi: quel risultato è da ufficio inchieste, quello scudetto l’hanno perso su ordine della camorra, quel rigore è stato tirato fuori per vincere una scommessa, quella squadra non vuol venire in serie A perché non ha i soldi per la campagna acquisti e quindi perde apposta le partite? Tutti lo pensano.E non solo del calcio. Cosa dovremmo dire del ciclismo o dell’atletica, discipline dove i palmarès, gli ordini d’arrivo di Giri e Tour, i podi olimpici vengono riscritti mesi o anni dopo dalle commissioni antidoping? O del tennis, dove atleti da Top10 sono stati indagati per aver scommesso sulle proprie sconfitte? Esiste ancora uno sport credibile? Probabilmente no. Il calcio, poi, è super-recidivo. Nel 1980 il primo scandalo del calcio-scommesse mandò in B due club importanti come Milan (per la prima volta nella sua storia) e Lazio e vide coinvolti giocatori importanti come Rossi, Giordano, Manfredonia. Paolo Rossi fu squalificato e graziato giusto in tempo per vincere i Mondiali e il pallone d’oro: i brasiliani che si beccarono i 3 gol di Pablito come si saranno sentiti? Calciopoli è cronaca recente e ancora rovente, basta vedere come è miseramente finito il famoso “tavolo della pace”. Ma è una storia diversa, fatta di comportamenti illeciti di dirigenti al massimo livello che volevano condizionare – almeno per quanto ne sappiamo – i risultati sportivi. Lo scandalo in cui il calcio italiano sta sprofondando in questi giorni sfocia invece, e clamorosamente, nel penale. Le notizie di ieri cominciano a fare chiarezza. Si parla di malavita organizzata, di riciclaggio di denaro sporco. Questo spiega molte cose. Perché la seguente domanda, altrimenti, sarebbe lecita – e chissà quanti di voi se la sono posta: quale convenienza c’è nell’investire 200.000 euro per “comprare” un giocatore che non è in grado, da solo, di condizionare un risultato (chiunque abbia giocato a pallone lo sa, solo un portiere può far tutto da solo – e Simone Farina fa il difensore)? Semplice: se il fine non è sbancare il picchetto con la singola scommessa, ma tutto fa parte di un giro d’affari enorme per ripulire i soldi delle mafie, allora è molto più chiaro. E spiega anche l’apparente modestia dei personaggi coinvolti (qui non c’è di mezzo un Paolo Rossi, ma al massimo un Beppe Signori ormai ex e un Cristiano Doni a fine carriera) e soprattutto la loro dimensione internazionale (con la minuscola, prego). Il calcio è uno sport complesso, difficile anche da taroccare (è più facile truccare un match di boxe o di tennis). È uno dei motivi del suo fascino. Ma è talmente popolare, e globale, da suscitare gli appetiti di molti. Piace a tutti: agli sceicchi degli emirati, agli oligarchi post-sovietici, ai boss della camorra. Tutti ci trovano i propri interessi, le scappatoie giuste per guadagnarci, i polli da spennare. I giocatori, che ci vivono dentro, ne vedono e ne sanno molte più di noi. Non c’è da stupirsi se qualcuno ci casca: non sta scritto da nessuna parte che solo gli onesti giocano a pallone. Dovrebbero essere “sportivi”, è vero, ma lo sport è business e politica da sempre, fin dai tempi dell’antica Grecia. Fa più sensazione il Simone Farina che non ci sta. Ed è proprio questa, come dicevamo, la cosa più triste.

Articolo di Alberto Crespi da “l’Unità” del 23 dicembre 2011

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