QUANTO COSTA L’ANTIPOLITICA

autobluLa crisi? È tutta colpa delle auto blu. Ad aprire il fuoco contro il Quirinale è stato per primo il capogruppo della Lega. A corto di risorse politico-culturali per analizzare la complessa crisi economica, Reguzzoni non trovava di meglio che inventarsi le 40 auto blu di Napolitano.Poco importa che le macchine a disposizione del capo dello Stato siano solo tre, quello che davvero conta per i campioni dell’antipolitica è solleticare gli umori più beceri che sorgono nei tempi di incertezza. Vittorio Feltri ha annusato che in certi passaggi della politica la fondatezza dell’analisi conta assai meno della opportunità di rintracciare un nemico contro il quale indirizzare un risentimento diffuso. E ha per questo subito riacceso il fuoco contro il Colle. La destra non ha risposte alla crisi e perciò inaugura una grande fabbrica della deviazione semantica per diffondere colpe surreali e vendere soluzioni solo immaginarie. Le munizioni necessarie all’impresa le fornisce da tempo una sempre fiorente industria culturale aperta dagli anticasta di professione che con giornali, libri, trasmissioni dipingono una realtà di comodo per cui il disastro del Paese ricade solo sulla politica come professione. Niente di nuovo sotto il sole. La repubblica dei partiti non era ancora nata e, nell’inverno del 1945, il commediografo Guglielmo Giannini già dava alle stampe un volume («La folla») nel quale se la prendeva contro gli “upp”, cioè gli uomini politici di professione. Il motto del fondatore dell’Uomo qualunque era «distruggere l’upp: dichiarare reato il professionismo politico». Per Giannini i politici di qualsiasi colore erano «il nemico interno» da mandare «in un campo di concentramento». Affiorava già allora un paradosso: tutti coloro che urlano contro i partiti e il professionismo politico poi si fanno anche loro un partito su misura e diventano professionisti della politica.
La furente invettiva anticasta condotta da Giannini ebbe fiato finché durarono i generosi rifornimenti della Confindustria. Nei primi anni della Repubblica però anche i poteri forti dovettero riconoscere il contributo cruciale offerto dai grandi partiti di massa alla modernizzazione del paese. Con l’invenzione organizzativa
e con l’investimento culturale i partiti seppero spegnere l’antipolitica che covava nella società italiana ed esprimere classi dirigenti di straordinaria qualità. Oggi l’arringa anticasta trova invece un ambiente molto fertile anche perché esiste una realtà degenerata che nei territori svela la proliferazione di sterminati ceti politici senza più partito. Questo è il nodo odierno: la diffusione di micro poteri personali con un debole collante organizzativo e ideale. La vera emergenza italiana è data dall’assenza di partito e non certo da una ipertrofia partitocratica. Dopo il 1994 ha trionfato infatti una ricetta ingannevole riproposta di recente da Tremonti: e cioè solo i ricchi possono fare politica perché, avendo già i soldi, non hanno bisogno di rubarne. La formula del governo dei ricchi capeggiato dal grande imprenditore ha però accelerato il declino del paese con la perdita di credibilità negli investitori internazionali. Oltre ai costi della politica occorrerebbe quantificare ormai anche i costi, anch’essi sterminati, dell’antipolitica. La mancanza di partiti ha ostruito i principali canali di governo dell’innovazione e ha inaridito la qualità della classe politica. Insomma, anche l’anticasta costa molto al paese perché alimenta la credenza nefasta per cuinon occorrono grandi statistimabastano imprenditori di successo. Il vuoto pauroso di classe politica, non l’eccesso di politica è all’origine del cupo malessere italiano. Per questo, ha ragione Bersani, la ricostruzione di un moderno partito è una carta vincente per arrestare il declino, restituire dignità culturale alla politica e arginare gli abusi che causano la forte ondata antipolitica. Bombardando il Quirinale come la roccaforte della casta, Feltri ignora che anche i depistaggi cognitivi propri dell’antipolitica devono avere un qualche fondamento per sprigionare l’odio contro un nemico artificialmente creato. Le armi puntate contro il Quirinale invece si rivelano delle pistole scariche perché è diffusa nel paese la percezione del capo dello Stato come una preziosa riserva etico politica. Il buon professionismo politico di una presidenza sobria si vendica così dei professionisti dell’anticasta che inseguono i fantasmi delle inesistenti pattuglie di auto blu.

Michele Prospero da “L’Unità” del 6 agosto

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