P4, L’ORGETTA DI POTERE

fotoNella telenovela della P4 c’è per intero l’immagine di un’Italia ormai declassata, ancor prima che dalle agenzie di rating, dalle cartoline di questo potere, dal tono un po’ coatto di certe conversazioni telefoniche, dall’intruglio d’affari, pruriti, invidie e millanterie che sta al centro dei loro chiacchiericci. Se un tipo come Bisignani, vestito come un figurino della Facis, era diventato davvero l’anima nera del paese, vuol dire che questo paese non ha più un’anima. Anche il venerabile maestro Licio Gelli viveva di ridicole liturgie e grembiulini bianchi, parlava come in una sceneggiatura da b-movie, vendeva materassi e intanto riceveva i sudditi a villa Wanda con la prosopopea di chi abita l’ombelico del mondo.

Ma nei suoi affari, nella presunzione di certe amicizie, nelle obbedienze che rivendicava dai caudillos come Peròn e dai palazzinari italiani alla Berlusconi c’era una dimensione reale del potere. Rozzo, sguaiato, arrogante: ma pur sempre potere. Che sapeva di sciabolette e logge coperte ma che è stato capace per un tratto della nostra storia di condizionare il destino del paese. Nella trascrizione di queste telefonate ci sono invece solo invidie, maldicenze, miserie, pensieri arrapati e pensieri rassegnati. Ascoltare quelle telefonate è come guardare dal buco della serratura qualcuno che a sua volta guarda dal buco della serratura gli amori della ministra, il parrucchino del ministro, le incontinenze del presidente, quello si vuole fare quell’altra, quella si vuole sposare quell’altro, a fra’ che te serve…

È il potere che mette in mostra le proprie vergogne; il problema è che pare possedere solo quelle: vergogne, da occultare o da esibire. E Bisignani, rigido e finto come uno stoccafisso in ogni foto, è una specie di Forrest Gump, ovvio nei commenti e nei gesti fino alla noia. Non si tratta, come insorgono quello del centrodestra (imitati subito da certi statisti del centrosinistra) di mettere la sordina alle intercettazioni e alla pubblicazione delle trascrizioni. Il problema sta in quello che si dicono Bisignani, la ministra dell’Ambiente, il Cancelliere della Repubblica, il ministro della Guerra, l’Uomo d’Affari, il signor Conte, la signora Contessa.

Il punto è nel tono sussiegoso, pieno di vocali arrotate e ben scandite, che usano quando devono fare il numeretto in televisione e che in quelle telefonate private precipita subito nello slang da terrazza romana (via Tuscolana, non piazza di Spagna…). La malinconia è nell’idea di istituzioni e di paese che trasudano quelle parole, come se dietro ogni perentoria affermazione che fanno in tv ci fosse sempre l’eco di una pernacchia. Rivedetevi il numero di Tremonti in una sua conferenza stampa, la erre arrotata e il viso vispo, “…il Consiglio dei ministri ha approvato la manovra finanziaria dopo una attenta e responsabile discussione..», e poi leggi nelle trascrizioni che la lunga e responsabile discussione non c’è stata, che il governo si è pronunciato in tre minuti come nemmeno nella più scalcinata riunione di condominio, mentre Bisignani e i suoi commentano: ma come si fa, ma dove andremo a finire…

C’è ormai un abisso che divide l’alta cerimoniosità delle cariche dalla nullità delle loro azioni, come accadeva solo negli ultimi anni delle corti francesi quando Luigi e i suoi lacchè avevano splendide parrucche incipriate e innaffiate d’acqua di colonia per mitigare l’olezzo di rancido che risaliva in superficie dai loro corpi poco avvezzi ad acqua e sapone. Insomma, un paese da trivio, da barzelletta, da acque di colonia. E Bisignani è come i barbieri di una volta: si va da lui e ci si lamenta, ci si arrabbia, ci si sfoga. Ora, io non lo so se questi personaggi faranno il colpo di Stato, o se l’hanno già fatto nelle forme striscianti con cui si sono impadroniti d’ogni potere pubblico e privato. Ma più che paura, ammettiamolo, mettono tristezza.

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