LO PSICOLOGO RISPONDE: IL CORPO, LA MENTE

mente1L’ampliarsi delle possibilità di diagnosi e cura come conseguenza degli enormi progressi delle tecnologia medica potrebbe spingerci ad abbracciare, con scarso senso critico, una concezione riduzionistica dell’essere umano. Tale concezione, a mio avviso, è, infatti, già problematica anche soffermandoci semplicemente al livello dei progressi che dovrebbero confermarla. Se un tempo ciò che accadeva nel corpo era interpretato come la conseguenza del disegno di colui che era in posizione di dare senso agli accadimenti del mondo, con l’avvento della scienza, il rischio è divenuto quello di consegnare gli enigmi del corpo alla sola misurazione della macchina E’ più che probabile che l’integrazione tra biologia, medicina e tecnologia, possa incoraggiare l’idea di un’eccessiva semplificazione della complessità dell’essere umano.
Questo paradigma del sapere sull’uomo può condurre, tuttavia, almeno tra i medici, gli psichiatri e gli psicologi più accorti, alla costruzione di una relazione curante-curato che, permette di evitare le strettoie riduzionistiche, includendo nella clinica ciò che la biologia e la tecnologia sembrano rimuovere inesorabilmente: la sfera soggettiva.
Per far questo occorre però comprendere che l’essere umano non è riducibile a bios, ma che esiste una dimensione altra, una res cogitans, che non solo non si oppone, con Cartesio, alla res extensa, ma sia, freudianamente, tutt’uno con essa. Ciò è pensabile solo se non escludiamo dall’orizzonte della nostra pratica i paradossi insiti nella clinica. Paradossi che, rendendo impotente il sapere fondato su un paradigma riduzionista, sia esso medico o psicologico, ci costringono a chiedere soccorso alla parola del paziente, a pensare ad alcuni sintomi che albergano nel corpo, come un messaggio oscuro che va decifrato. Su questo punto si può aprire nella clinica un varco che rende indispensabile interrogare non soltanto la malattia, ma, al di là di essa, un essere umano che pensa, spera, soffre. E’ in questa dimensione che, ci catapulta, il campo della psicosomatica se solo sappiamo trarne tutte le conseguenze. Qui la biologia e la tecnologia devono fare un passo indietro perché si tratta di fare i conti non con il corpo-macchina, non con il corpo ridotto alla sua realtà biologica, bensì con un corpo che includendo la soggettività, invisibile ma non per questo silenziosa, viene da essa ‘denaturato’. Siamo di fronte ad un corpo che non controlla più i suoi organi.
Dinanzi ad un ‘matrimonio bianco’, ad un’infertilità psicogena, ad una gravidanza isterica, o, ancor di più, dinanzi all’effetto terapeutico di farmaci privi di sostanze chimicamente attive, o abbiamo il coraggio di ripensare ad una clinica che includa la soggettività o corriamo seriamente il rischio di spalancare porte e finestre all’impostura. Di ‘regalare’ alla magia ciò che la tecnologia è strutturalmente incapace di vedere.

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