IL SENSO DEL LIMITE: NOI E GLI ALTRI

image175Non è infrequente, anzi è sempre più frequente, venire a conoscenza di presunti atti di violenza messi in atto da giovani verso propri coetanei. Qualcuno in realtà dubita che la frequenza di tali atti sia cresciuta rispetto al passato ritenendo, invece, che ciò che è davvero mutata è la risonanza mediatica offerta a questi comportamenti. Non c’è dubbio che la risonanza sia maggiore, così come è vero che nella nostra cultura l’attenzione verso i diritti di ciascun individuo sia cresciuta e che dunque si sia più attenti rispetto a tutto ciò che deborda dai limiti propri di una pacifica convivenza. Tuttavia ritengo che sia vero anche che la violenza, soprattutto tra i giovani, sia già da qualche decennio in sensibile crescita. E’ bene tener conto che la violenza non si manifesta soltanto con comportamenti fisicamente aggressivi, ma che anzi molto più spesso essa si mostra attraverso le sembianze di una violenza psicologica. Violenza psicologica devastante per chi la subisce ma poco considerata dagli “spettatori”. E’ il ruolo degli “spettatori” che a mio parere riveste un ruolo determinante nell’alimentare a dismisura la violenza del nostro tempo tra i giovani. Un tempo esisteva una credenza diffusa e radicata nelle norme della convivenza civile, i ragazzi ed i giovani credevano intimamente che c’erano dei limiti invalicabili nel rapporto con il proprio prossimo. La norma sociale era una norma interiorizzata, un tratto integrato nella propria personalità. Non era possibile neppure pensare che si potevano oltrepassare questi limiti senza subirne serie conseguenze, conseguenze che non erano legate ad una sanzione sociale, ad una sanzione che veniva dall’esterno, in quanto la sanzione era in primo luogo interna all’individuo stesso e si mostrava attraverso il senso di colpa. Al contrario in un’ epoca come la nostra in cui ad ogni pie’ sospinto si declamano le virtù dei diritti universali dell’individuo, ci accorgiamo paradossalmente che questi diritti alla prova dei fatti valgono per noi ma non per gli altri. Manca troppo spesso una vera coscienza morale che prima raffreni questa spinta alla violenza verso l’altro e poi produca un senso di colpa capace di far comprendere la gravità di ciò che si è fatto. Ciò accade perché oggi nessun individuo può accontentarsi di una norma morale semplicemente enunciata, anche se essa è enunciata da tutti. Oggi è il tempo in cui la norma per essere osservata deve essere una norma incarnata, una norma che si mostra attraverso l’esempio. La norma deve essere declinata attraverso una responsabilità individuale, una presa di posizione continua di fronte a ciò che accade dinanzi ai nostri occhi. Ed è per questo, al di là della posizione soggettiva della vittima e dell’aggressore, che riveste un ruolo determinante il comportamento degli “spettatori”. Gli spettatori non possono essere mai neutrali. Non prendere posizione è, infatti, una evidente presa di posizione. Il punto è: saremo in grado di prendere una posizione capace di salvaguardare, attraverso i nostri comportamenti quotidiani, lo statuto etico dell’uomo? Saremo in grado di trasmettere questo statuto a chi ogni giorno condivide la nostra vita? Non è affatto scontato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *