UNA LEGGE SBAGLIATA. AI CONFINI DELLA VOLONTA’. LA LEGGE SUL FINE VITA

eutanasiaLa Costituzione italiana garantisce all’articolo 32, che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario». Chiunque insomma, nell’ambito della gestione della sua salute, è padrone di disporre come vuole del proprio corpo: di andare o no da un medico, di curarsi o non curarsi, di sottoporsi o no ad un’operazione, al limite anche di cessare di alimentarsi. Ciò vale se egli è in stato di coscienza, se è in grado d’intendere e di volere. Ma che accade se non lo è più? Se il grado avanzato di una malattia che lo ha colpito, o un incidente improvviso, lo rendono per l’appunto incapace d’intendere e di volere? La legge sotto esame in questi giorni alla Camera stabilisce che allora egli perda in sostanza il diritto surricordato e che alla sua volontà, prima così solennemente garantita, si sostituisca invece quella del medico.
Il progetto di legge di cui stiamo parlando decreta questa perdita di diritto nel momento in cui stabilisce che sì, io posso affidare le mie volontà in materia di «attivazione o non attivazione di trattamenti sanitari» a una cosiddetta «dichiarazione anticipata di trattamento» contenente perfino «la rinuncia ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamento sanitario in quanto di carattere sproporzionato o sperimentale» (dunque solo in questo caso?), e posso, sì, egualmente, nominare un «fiduciario» che mi rappresenti quando non dovessi essere più cosciente. Stabilisce anche, però, che nel primo caso la mia dichiarazione non ha alcun valore vincolante ma solo un valore di «orientamento»; e stabilisce altresì, in un emendamento al testo iniziale, che anche nel secondo caso se sorge un contrasto tra il parere del mio «fiduciario» e quello del medico è il parere di quest’ultimo che ha la meglio. La mia volontà, insomma, è solo un «orientamento», ma di fatto io sono nelle mani di ciò che decide il medico. Si aggiunga infine, per colmare la misura, che la validità già molto aleatoria della mia «dichiarazione» è sospesa se mi trovo in condizioni di urgenza o d’imminente pericolo di vita. Cioè proprio nella circostanza – come ha fatto giustamente osservare il professor Possenti nel suo ottimo articolo di mercoledì sul Corriere – in cui la suddetta «dichiarazione» dovrebbe valere di più.
In verità a ogni persona di buon senso sfugge per quale ragione la legge da che tutela in modo assoluto la mia volontà finché sono cosciente, non debba poi riconoscerle più alcun valore quando manifesto tale volontà ora per domani, cioè per quando non sarò più in grado di farlo a causa di un sopravvenuto stato d’incoscienza. Perché nel frattempo posso aver cambiato idea, è la risposta. Già, ma ci si rende conto che se questo modo di ragionare fosse fondato, allora non dovrebbe essere riconosciuta valida, per esempio, nessuna disposizione testamentaria che non fosse redatta e sottoscritta un istante prima di morire? Capisco che l’importanza dei beni materiali è ben diversa da quella della vita umana, ma la manifestazione di volontà è sempre la stessa. Se è valida in una materia non può che essere valida sempre. Non solo: ma proprio per una simile eventualità – perché può sempre sopraggiungere un imprevisto qualunque che quando ero cosciente non ero in grado di prevedere nelle mie disposizioni – proprio per questo, dicevo, io posso nominare un «tutore», una persona di mia fiducia che in caso di mia impossibilità decida per me. E invece, come ho già ricordato, anche questo la legge non permette.
Ma anche qui: perché mai ciò che pensa e decide del mio destino un medico sconosciuto deve avere la meglio su ciò che invece pensa e decide una persona alla quale presumibilmente mi legavano rapporti intensi di conoscenza e di affetto (un congiunto, un coniuge, un amico, un compagno), e della quale mi sono comunque fidato al punto di consegnare la mia vita nelle sue mani? Stupisce davvero che proprio una visione del mondo che si vuole cristiana – qual è senz’altro quella di chi ha ispirato e redatto questa legge – abbia deciso di sottrarre la morte alla sua tragica e misteriosa umanità, alla sua natura di drammatica prova e compendio di una vita e dei suoi affetti, per consegnarla invece alla gelida presunta imparzialità dell’apparato sanitario, alla tecnicalità del sapere medico-scientifico. È in questo modo che si spera di contrastare l’arroganza culturale della tecno-scienza? Si dice che simili disposizioni di legge sarebbero state predisposte per evitare il ripetersi di un caso come quello di Eluana Englaro. Ma ciò che in quel caso apparve a molti (compreso il sottoscritto) ripugnante e inammissibile fu la pretesa da parte di un Tribunale, servendosi di indizi fragilissimi e di deduzioni capziose, di ricostruire la supposta volontà di quella povera ragazza e di autorizzarne, in base a ciò, la virtuale soppressione. Proprio perché in una tale materia la volontà personale deve essere considerata sacra, essa non può essere affidata alle illazioni di qualche magistrato. Si dice ancora che la legge in questione servirebbe a evitare il ricorso più o meno sotterraneo a pratiche eutanasiche. È un obiettivo che personalmente condivido in pieno. Ripeto, in pieno; ma non capisco che cosa c’entri: sarebbe come vietare la fabbricazione delle armi per impedire che qualcuno le usi per uccidersi. Comunque, se questo è il problema mi pare che ci sia un mezzo facilissimo per risolverlo: si stabilisca per legge che nelle dichiarazioni della propria volontà in previsione di un sopravvenuto stato d’incoscienza sia permesso di indicare non già i trattamenti che si vorrebbero avere, bensì esclusivamente le pratiche e le cure mediche che non si vogliono avere. Fino a prova contraria è difficile considerare come eutanasia il semplice lasciarsi morire: o deve essere vietato anche questo?

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