di Antonella Sglavo
Mi sono chiesta spesso, da cinque anni a questa parte, ovvero da quando ho conseguito la laurea in legge, come potessero i miei coetanei rimanere in silenzio di fronte alle lacerazioni che attanagliano un giovane che ai nostri giorni si mette in cammino con le sole proprie forze e la laurea in tasca, nell’arduo e vano tentativo di trovare un posto di lavoro in sintonia con le proprie aspirazioni.
Di lavoro, o meglio di crisi di lavoro, sono piene le testate dei quotidiani; di lavoro e nuove opportunità di lavoro si riempiono, talvolta, le bocche di alcuni prestigiatori della parola, ma di un lavoro che possa collimare con i sogni e le speranze di un giovane laureato di oggi, non sembrano esserci né ombre, né strascichi, né sembianze.
E’ un silenzio di una gioventù niente affatto abituata ad imporsi e a decidere che si lascia schernire e giudicare “bamboccione”, piuttosto che rivendicare i propri diritti calpestati. Troppo fragili per ribellarsi, troppo deboli per sollevare un grido comune di protesta! Più facile arrendersi che combattere.
Colpa di un mercato in stand-by che ristagna in una crisi dirompente; colpa di una università teorica e cattedratica, troppo lontana da un mondo del lavoro pratico e pragmatico; colpa di una “Legge-Biagi” che ha reso obsoleto e fuori moda il contratto a tempo indeterminato che assicurava, di certo, notti di sonno più tranquillo; colpa infine, di una classe dirigente che non ha saputo dirigere altro che i propri favorevoli “venti in poppa” per seguire così la propria opportuna “buona rotta”.
E alle nuove generazioni spetterebbe così l’arduo compito di correggere gli errori commessi da altri nel passato, e sempre ai giovani spetterà la difficile convivenza, (per chissà quanto altro tempo), con un debito pubblico salito alle stelle per assorbire infine, tutte le limitazioni e le privazioni di un’epoca economica tra le più infelici degli ultimi cento anni di storia italiana.
Se improvvisamente, metaforicamente, ci ritrovassimo tutti sul “Titanic”, ai giovani spetterebbe di sicuro la terza classe, senza scialuppe di salvataggio.
Se per magia ci ritrovassimo tutti nelle favole della Walt Disney, i giovani non troverebbero né tesori, né palazzi reali ma semmai, incontrerebbero, “il gatto e la volpe” pronti a raggirarli con “corsi di formazione e master di alta qualità”, che hanno la sola funzione di alimentare un elevato business per i loro promotori in cambio di illusioni ed inganni per “bamboccioni” di un paese di balocchi e burattini.
E così, mentre alcuni politici di successo, danzano con soubrettes e ballerine, un’intera generazione vede affondare il suo futuro in acque stagnanti di disoccupazione cronica e d’inaffidabile precarietà.
C’è un’intera generazione che vive un presente di rinuncia e di esclusione e che preferisce non immaginare il futuro che l’attende.
C’è un’intera generazione che necessiterebbe di risposte politiche e governative per porre rimedio ad una disoccupazione intellettuale che dovrebbe indignare e far vergognare le Istituzioni.
Ma le risposte vengono spesso lasciate nelle mani individuali, deboli ed isolate di ognuno.
Una politica che ignora e non dà spazio e voce ai suoi giovani è una politica che è giunta al tramonto.
Un paese che ammazza e abbatte i sogni e le ali delle nuove generazioni è un paese che ha finito!
Un paese che cala il sipario e spegne le luci sui suoi giovani è un paese che ha fallito!