«CAMBIARE SI PUO’. E’ L’ORA DELL’EQUITA’»

ticket20sanitarioEnrico Rossi è il presidente della Toscana. Che osserva: «Da Berlusconi è molto difficile sentire il linguaggio della verità…»

Presidente Rossi, il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha detto che è giunta l’ora della verità sferzando il governo ma facendo anche un richiamo all’opposizione. È d’accordo?
«Il messaggio di Napolitano nel complesso è condivisibile soprattutto perché viene dall’unica figura del Paese che consente ancora all’Italia di avere un minimo di autorevolezza. È giusto che metta all’indice la maggioranza per avere nascosto la verità delle cose raccontando la novella che ormai dalla crisi eravamo già usciti quando invece ci stavamo piombando. Ed è giusto anche che, in modo sottile, il Presidente della Repubblica richiami l’opposizione a non attribuire tutta la responsabilità al presidente del Consiglio e ad individuare anzi le riforme necessarie, quelle di cui il Paese ha bisogno. Siamo in una situazione drammatica e credo che l’esempio della compartecipazione nei servizi sanitari in rapporto al reddito che domani (oggi, “Ndr”) prende il via in Toscana possa essere una strada per rispondere all’appello di Napolitano».

Crede possibile un dialogo vero con l’attuale maggioranza di governo?
«Penso che con questo presidente del Consiglio sarà ben difficile sentir parlare il linguaggio della verità e sarà anche ben difficile che le proposte di riforma possano essere prese sul serio. Per un discorso diverso il primo ostacolo è proprio Berlusconi».

L’esecutivo litiga da giorni perché il Pdl punta a impostare la nuova Manovra soprattutto sulla previdenza.
«Innanzi tutto ho apprezzato molto il coraggio di Bersani di presentare la sua proposta un attimo dopo il governo a saldi zero mettendo al centro la lotta all’evasione a cominciare dai capitali scudati e dalla tracciabilità. Chi parla di pensioni ho il sospetto che voglia continuare a strizzare l’occhio all’evasione facendo cassa su un sistema previdenziale che invece è in equilibrio. Il problema, caso mai, è come fare equità e magari anche solidarietà intergenerazionale. Chi va in pensione oggi a volte mantiene le caratteristiche della pensione a paga piena mentre domani ci andrà una generazione di precari che rischia di avere un reddito insufficiente anche ad assicurare gli alimenti. Le pensioni nel Paese hanno già dato. Altra cosa è parlare di una riforma interna per garantire più equità e più copertura».

Ma la riforma delle pensioni è un capitolo intoccabile o no?
«Mi pare interessante il ragionamento che fanno il Pd e Bersani di trovare meccanismi che consentano di avere più incentivi a restare che ad andare in pensione quindi con guadagno reciproco. Ma al primo posto vorrei ci fosse il tema delle nuove generazioni. Chi oggi ha 40 anni o i giovani precari andranno in pensione? Se sì, a che livelli? Intervenire sul riequilibrio interno con gli incentivi permetterebbe di estendere una copertura dignitosa per tutti». L’Unità sta promuovendo un appello per vietare il cumulo tra indennità parlamentare e altri redditi. Lo sottoscrive? «Mi sembra giustissimo. Non si vede perché un lavoratore dipendente debba rinunciare a tutto per lo stipendio da parlamentare e invece un professionista privato no. Considerati anche i molti esempi di chi, in Parlamento, è arrivato proprio grazie ai suoi servizi trovando poi lì pure il modo di accrescerli. Un simile divieto risolverebbe anche in parte la questione del vitalizio che andrebbe trasformato in relazione alle pensioni Inps. E parlo sia del parlamento sia delle Regioni».

A proposito di Regioni. Faceva riferimento all’inizio al ticket sanitario imposto dal governo che in Toscana parte in ritardo ma rimodulato secondo fasce di reddito per garantire una maggiore equità sociale. Potrebbe diventare un modello da esportare a livello nazionale?
«Con Emilia Romagna e Umbria abbiamo rifiutato l’idea che il ticket venisse applicato per tutti nella stessa misura a prescindere dalle condizioni effettive. È una strada troppo facile e una doppia ingiustizia perché rischia di andare a colpire soprattutto chi le tasse le ha sempre pagate. Invece nel nostro Paese ci sono 150 miliardi di evasione netta, senza la quale potremmo risparmiarci non una ma 4 manovre. In questo quadro chiedere 10 euro a chi ne guadagna meno di 36mila non ci sembra la stessa cosa che chiederli a chi ne ha più di 100mila. Da noi chi è sotto ai 36mila euro non pagherà un euro in più. Così proviamo a coniugare equità e tutela del carattere universalistico del servizio sanitario».

Ma il reddito a volte mente…
«È per questo che ho invitato i cittadini toscani a compilare i moduli Isee. Quella procedura, istituita non a caso nel ‘98 dal centrosinistra, permette di calcolare la vera ricchezza di una famiglia sia sommando al reddito anche altre voci del patrimonio sia detraendo eventuali mutui o calcolando impatti diversi a seconda dei nuclei familiari più o meno numerosi. Ad esempio, una famiglia con un reddito lordo di 65mila euro, 25 mila euro in banca ma un mutuo da 200mila e due figli avbrebbe un Isee di 26mila euro. Ecco, questa mi sembra si possa chiamare giustizia fiscale».

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