ELOGIO DELL’ANTIBERLUSCONISMO

berlusconi_affranto_xin-400x300-300x225Secondo un luogo comune invalso anche a sinistra non si deve indulgere all’antiberlusconismo. Mi è chiaro il senso di quella raccomandazione: le ossessioni, comprese quelle virtuose, accecano lo sguardo e inficiano la lucidità dell’analisi; non si devono demonizzare le persone che, in buona fede,  sono incappate in quella fallace illusione; ci si deve meritare il consenso sulla base di una proposta declinata in positivo …. Sono perfettamente d’accordo. Ma a una precisa condizione: che quella lunga stagione, politica e non solo, segnata dalla ingombrante ipoteca di Berlusconi, non sia consegnata all’oblio. Che la lezione che dobbiamo ricavare da essa non sia precipitosamente archiviata. Se ben inteso, a mio avviso, l’antiberlusconismo è una virtù. Per più ragioni.
La prima è che l’uomo, con il suo smisurato sistema di potere, è ancora tra noi. Spesso ci si scorda che al Senato egli ancora dispone della maggioranza, che continua ad esercitare uno straordinario potere attivo o di interdizione, che ancora da lui, dalla sua iniziativa e persino dalle sue esitazioni, dipende la sorte della destra politica italiana, che il volume di fuoco dei suoi media tuttora non è minimamente intaccato, che il suo potere economico è ancora  enorme e le sue disponibilità finanziarie pressoché infinite. Come attestano le indagini giudiziarie rosa e nere che lo riguardano. Ignorarlo sarebbe un errore ottico letale.
Seconda ragione: è d’obbligo tenere fermo il giudizio di valore ed esercitare l’arte della distinzione rispetto al ciclo berlusconiano. Taluni nuovisti anche a sinistra teorizzano che dovremmo metterci dietro le spalle la coppia berlusconismo-antiberlusconismo. Quasi fossero due mali equivalenti. Quasi che avere contrastato politicamente e culturalmente il Cavaliere fosse stato un errore o comunque un’esagerazione, un comportamento di stampo estremistico. Sul punto, ricordo sempre la reazione insolitamente vivace e risentita di un uomo per indole mite e controllato come Leopoldo Elia, che respingeva l’accusa di antiberlusconismo come una sorta di ricatto dialettico irricevibile, come la più stupida e immotivata delle imputazioni: che colpa ne abbiamo, notava, se quel concentrato di anomalie che minano la democrazia e la vita morale e civile si condensa nominativamente in una persona, che porta un nome e un cognome? E’ un fatto, non una nostra costruzione artificiale.
Vi è una terza ragione: l’oblio e la rimozione delle distinzioni conduce a una narrazione fuorviante del passato politico recente che ha messo radici anche tra noi. Mi spiego: tutti i governi della cosiddetta seconda Repubblica andrebbero inscritti sotto la cifra del fallimento. Una falsificazione cui invece dovremmo reagire. Come si può onestamente sostenere che i governi nei quali figuravano Prodi, Ciampi, Amato, Napolitano, Padoa Schioppa, Bersani possano essere giudicati alla stessa stregua dei governi Berlusconi? Tale fuorviante narrazione non è priva di conseguenze per il presente e per il futuro. La sbrigativa e illusoria ricetta della rottamazione di tutto e di tutti affonda qui le sue radici. Ignora un paio di dettagli: grazie all’Ulivo la sinistra ha assunto per la prima volta la responsabilità del governo nazionale dopo mezzo secolo e ha portato l’Italia in Europa.
Ancora, la rimozione dell’antiberlusconismo e cioè della consapevolezza della marcata unicità del caso Berlusconi, non a caso osservato con un misto di curiosità, allarme e commiserazione fuori dei nostri confini, non è priva di conseguenze sul piano della visione del sistema politico. Si è inclini a decretare il fallimento del bipolarismo, cioè di una sana democrazia competitiva, anziché a considerare che appunto a quella gigantesca anomalia si deve il suo cattivo, concreto funzionamento. E di conseguenza a rigettare il bipolarismo proprio quando esso, depurato dall’ipoteca di quell’anomalia, potrebbe dispiegarsi positivamente. O addirittura si è spinti a rinunciare alla politica democratica tout court per consegnarsi alla tecnocrazia, al mito del pensiero unico dal quale cavare la ricetta unica appaltata a chi dispone dei saperi specialistici.
Infine, smarrendo la precisa memoria della peculiarità del fenomeno Berlusconi, si può abbassare la guardia sui due profili di esso che possono perfettamente sopravvivere all’uomo e alla sua parabola politica. Cioè le tossine del berlusconismo che più o meno consapevolmente si sono depositate in noi. Due in particolare: il leaderismo, il cesarismo, le scorciatoie populiste che, pur sotto varie vesti, hanno preso corpo ben oltre i confini del suo partito e del suo campo; una concezione della vita prima e più che della politica ossessivamente mirata al successo, al denaro, al potere personale e di gruppo. Può sembrare strano, ma, a mio avviso, non abbiamo riflettuto ancora abbastanza sulla devastazione prodotta dalla concretissima idea-forza inoculata da Berlusconi: quella che con il denaro ci si possa comprare tutto, tutti e tutte. Giustamente ci siamo scandalizzati per i bunga bunga di un uomo di Stato, per le donne ridotte a merce e a tangente. Ma non ci scandalizziamo più abbastanza per la legione di uomini e donne che siedono in parlamento, cioè in una istituzione che riveste una sua sacralità, pronti a servire le cause più invereconde. Il voto sulla nipote di Mubarak è solo la punta di un iceberg di diciotto anni di vita parlamentare ostaggio degli interessi materiali e delle  spericolate vicissitudini di un uomo.  Suscita sconcerto e irritazione lo spettacolo dei docili e spesso mediocri servitori da lui miracolati con posti, denaro e potere che oggi, a fronte della sua declinante parabola, cercano di mettersi in salvo. Così pure, lo confesso, mi lasciano basito i giovani “formattatori” del PDL. Di sicuro io sono all’antica e un po’ bacchettone, ma ancora non riesco a non provare sbigottimento di fronte a centinaia di parlamentari votati al servilismo e a giovani che tutt’ora guardano a Berlusconi come a un modello. Vi rilevo un che di mostruoso, l’ennesima testimonianza della profondità e dell’estensione di quelle tossine.

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