DOPO PASOLINI DI SCENA LA CULTURA CON IL PREMIO VOLPONI

a7Di Viola Speranza
Sembra esserci un filo rosso nelle attività culturali del nostro territorio in questo periodo, un bisogno di riportare alla memoria le grandi personalità intellettuali che hanno contribuito a costruire parte del nostro presente. Qualche giorno fa il convegno su Pasolini a Civitanova e ora il Premio letteratura e impegno civile in nome di Paolo Volponi (Urbino 1924-Ancona 1994), che ha visto la serata di chiusura della sua ottava edizione, dopo un articolato programma sviluppatosi nell’arco di circa quindici giorni in tutta la provincia di Fermo, in un teatro delle Api a Porto Sant’Elpidio gremito di giovani e meno giovani giurati, amministratori provenienti da tutta la regione e semplice pubblico appassionato di quella letteratura che unisce la seduzione della parola e della narrazione all’impegno civile
Diciamolo subito, la coppia leggendaria formata da due grandi artisti e militanti, Dario Fo, premio Nobel per la letteratura e Franca Rame, annunciata dal programma, non era presente a ricevere il premio Lettere ed Arti a loro destinato. Dario Fo, solo in un breve video di saluto e ringraziamento, ha ricordato il suo incontro con un insolito e ironico Volponi. L’età inesorabilmente avanza e costringe a selezionare gli impegni, a volte considerati pregiudizialmente noiosi e un po’ i premi letterari rischiano di esserlo.
Il premio Volponi di sabato 26 novembre in realtà è scorso con piacevolezza, grazie anche alla conduzione informale e non compassata di Giovanna Zucconi, agli interventi di un inedito Beppe Servillo, nelle vesti di attore e non di cantante come siamo soliti ascoltarlo, che ha interpretato con la sua musicalità partenopea alcune pagine de “Il pianeta irritabile” di Volponi, accompagnato alla tromba da Roberto Piermartiri, e grazie soprattutto allo spazio che la serata è riuscita a ritagliare agli autori finalisti, che hanno avuto la possibilità di raccontare quasi amichevolmente i loro libri e di leggerne alcune pagine, così da rendere partecipe quella parte di pubblico che non li aveva letti, sul loro stile narrativo e sulle tematiche affrontate.
I tre finalisti, scelti dalla giuria tecnica composta da Enrico Capodaglio, Angelo Ferracuti, Massimo Raffaeli, Emanuele Zinato, hanno seguito in diretta la votazione dei 100 giurati (votanti 93) che al termine ha proclamato terzo classificato il più giovane dei concorrenti Andrea Bajani con “Ogni promessa” (Einaudi), un viaggio a ritroso nel tempo per recuperare la memoria di un nonno tornato folle dalla campagna di Russia. Al secondo posto il marchigiano Gilberto Severini con “A cosa servono gli amori infelici” (Playground), una storia personale raccontata con molta ironia, che diventa l’occasione per riflettere sulla storia del nostro paese, il ’68, le contestazioni degli anni ’70, la rivoluzione tecnologica.
Vincitore assoluto Paolo Di Stefano con “La catastròfa” (Sellerio), anche questo libro un percorso di memoria dentro quella tragedia avvenuta nel 1956 a Marcinelle, in Belgio, dove trovarono la morte 262 minatori di cui 136 immigrati italiani. “La catastròfa” è un romanzo-verità che da voce a un rimosso storico e quando nel 2006 Di Stefano, che è un inviato del Corriere della Sera, si è trovato proprio a Marcinelle e i minatori hanno iniziato quasi casualmente a raccontargli alcune storie della tragedia lontana, quella tragedia non gli apparve poi così lontana, ma anzi come se mezzo secolo non fosse passato, tanto le storie erano incandescenti, emozionanti. Ha deciso allora di colmare questo oblio raccogliendo le testimonianze, le voci dei superstiti, viaggiando tra l’Abruzzo e la Sicilia, terre da cui provenivano gran parte dei minatori morti, anche per rispondere a una necessità, a una passione civile.
I premi letterari dedicati a grandi scrittori rappresentano in fondo la volontà di passare un testimone, di creare una continuità e in nome di questo il critico Raffaeli ha ricordato lo stesso PaoloVolponi, che ha avuto dei maestri eccellenti nelle persone di Olivetti, che ha rappresentato quel capitalismo civilizzato e nella cui fabbrica ha lavorato per circa venti anni e Pasolini di cui ha condiviso la potenza visionaria, l’idea di una realtà che deve essere raccontata con tutte le sue contraddizioni.
E come Pasolini, anche Volponi fu un anticipatore dei tempi, fu profetico, tanto da scrivere:”Il capitalismo ha avuto vari collassi, varie crisi, perché è così, è ingordo, avido, mangia troppo, molto più di quello che può digerire e poi sta male, e naturalmente fa pagare agli altri sempre le sue sofferenze”.
Ma anche una visione piena di prospettiva positiva verso un futuro possibile:”Il nostro è un paese sgangherato, ma non è ancora morto. E anche nella cultura, nella letteratura, perché non siamo tutto e soltanto nella televisione, tutto e soltanto nella plastica, c’è ancora molto che freme, frigge, farnetica…”

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