DANNI CAUSATI DA PIOGGE INTENSE ED ALLUVIONI: UN RISCHIO INATTESO?

rischio_idrogeologico_44241“Le civiltà esistono per consenso geologico, soggette a cambiamento senza preavviso” (William James Durant, 1885-1981, filosofo, saggista e storico statunitense)

La storia umana è piena di notizie su popolazioni che hanno sottovalutato il rischio geologico ed hanno pagato, per questa ignoranza, un terribile prezzo. A Civitanova e in tutta la regione Marche in questa settimana abbiamo assistito al verificarsi di un’eccezionale ondata di maltempo con piogge ininterrotte per alcuni giorni, che, innescando frane, allagamenti, esondazioni ed erosione costiera hanno prodotto gravi danni ad edifici ed infrastrutture, pesanti disagi alla viabilità ed alla popolazione ed anche, purtroppo, alcune vittime, che hanno indotto le autorità a proclamare “lo stato di emergenza”. Come nel 2010, il primo trimestre di quest’anno rappresenta un periodo critico sotto il profilo idrogeologico per buona parte del territorio nazionale e regionale, con afflussi meteorici di elevata intensità, concentrati in una stagione in cui il contenuto di acqua nei suoli raggiunge già i suoi valori più elevati e in concomitanza di disgeli successivi alle precipitazioni nevose, di eccezionale frequenza rispetto alla media degli ultimi decenni. Sottoposto a tali sollecitazioni idrologiche, il nostro territorio ha manifestato tipici segni di fragilità idrogeologica, con alluvionamenti di numerosi tratti delle aste fluviali, riattivazione e neoformazione di numerosi movimenti franosi ed erosione della costa. Frane, mareggiate ed alluvioni sono eventi naturali attraverso i quali la superficie terrestre si modifica per raggiungere condizioni di maggior equilibrio; l’intervento umano legato alla scorretta gestione ed uso del territorio induce fenomeni di dissesto idrogeologico, che sono determinati da cause naturali ma sono accelerati o provocati da interventi errati dell’uomo sul territorio, quali disboscamento, esodo rurale, irrigidimento con canalizzazioni artificiali dei corsi d’acqua, impermeabilizzazione dello strato superficiale del suolo dovuta alla costruzione di strade, piazzali pavimentati, abitazioni, capannoni industriali, che riducono in maniera notevole l’infiltrazione delle acque piovane nel terreno, aumentando il deflusso superficiale e la probabilità che si verifichino grandi ed improvvise piene. Quando si manifestano eventi catastrofici, quindi, non sempre questi si possono definire naturali ed è irresponsabile giustificarli come ineluttabili, in particolare se si presentano sistematicamente a colpire il territorio e l’uomo, che è divenuto in tempi moderni un importante fattore della morfogenesi, al pari di altri agenti naturali. Recenti studi sulla dinamica fluviale nelle Marche hanno evidenziato come le attività antropiche siano le principali responsabili degli intensi e vistosi processi di erosione in alveo dei nostri fiumi e dell’arretramento della linea di costa. La costruzione di nuovi quartieri è attuata spesso solo in relazione a situazioni di sviluppo urbanistico già in atto, senza tener conto dei deflussi idrici superficiali, con realizzazione di costruzioni industriali e residenziali in aree golenali, cioè destinate naturalmente all’espansione dell’alveo fluviale in caso di piena, o nelle casse di colmata, soggette a periodiche inondazioni. I fenomeni che turbano i preesistenti equilibri naturali rappresentano la pericolosità geologica, mentre le opere e le attività umane costituiscono la vulnerabilità antropica; la combinazione della pericolosità geologica e della vulnerabilità antropica di un territorio creano il rischio geologico. La vulnerabilità comprende l’urbanizzazione, la presenza di aree industriali, di infrastrutture viarie, dei servizi a rete, di bacini artificiali: il rischio geologico è strettamente connesso a tali opere e può essere mitigato solo agendo con interventi di prevenzione per il controllo delle cause dei fenomeni alterativi e con insediamenti correttamente localizzati rispetto alle pericolosità del territorio; per la mitigazione del rischio, quindi, occorre non solo contenere gli effetti disastrosi, ma soprattutto ridurre la vulnerabilità dovuta alla presenza di opere umane e controllare le cause d’innesco, in particolar modo nella nostra regione, in cui il contesto geologico è caratterizzato da una pronunciata fragilità del territorio in presenza di un contesto sociale molto dinamico e orientato allo sviluppo economico, che induce una forte richiesta di insediamento in un sistema ambientale caratterizzato da poche aree pianeggianti concentrate in prossimità della costa e dei corsi d’acqua. Attualmente la nostra regione soffre della veloce ed intensa antropizzazione del territorio con realizzazione di strutture ed infrastrutture sempre più localizzate nei fondovalle e nelle aree costiere. La continua espansione delle attività tende a ridurre le sezioni dei corsi d’acqua minori, modifiche cui possono ricondursi gli intensi e frequenti fenomeni di esondazione e/o allagamento delle piane alluvionali della maggior parte dei sistemi fluviali marchigiani, verificatisi anche in periodi di precipitazioni meteoriche non eccezionali. I fattori più frequenti che concorrono all’intensità d’inondazione sono infatti legati all’evoluzione del sistema fluviale, spesso indotta e mantenuta artificialmente con opere di canalizzazione, pratica nota da secoli che ha portato la popolazione residente a ritenere erroneamente sicure le piane alluvionali sottratte al fiume. Il tempo di ritorno di una piena di portata determinata è il numero di anni entro i quali l’evento in media si ripete. Le aree ad alta probabilità di inondazione sono quelle con tempi di ritorno delle piene di circa 20-50 anni, le aree a moderata probabilità con tempi di ritorno di 100-200 anni, e le aree con bassa probabilità di inondazione sono caratterizzate dal ritorno di piene eccezionali ogni 300-500 anni. Insediando abitati e stabilimenti industriali in zone ad alta probabilità di inondazione si ottengono aree ad alto rischio idraulico. Occorre quindi aumentare la fascia di pertinenza fluviale e restituire al fiume la sua libertà per garantire la convivenza dei processi naturali con l’inevitabile antropizzazione dell’area circostante, consentendo una “decanalizzazione” e “rinaturalizzazione” degli ambiti fluviali, per garantire una delimitazione del fiume sufficientemente cautelativa ai fini della sicurezza idraulica; bisogna restituire ai corsi d’acqua la libertà di divagazione riducendo al minimo le interferenze nella dinamica evolutiva e nell’ecosistema fluviale, ripristinando il più possibile le condizioni ambientali preesistenti agli interventi artificiali. La difesa dai rischi idrogeologici comporta quindi sia la previsione sia la prevenzione delle catastrofi. Le opere di difesa passiva (come la costruzione di argini in cemento) trascurano le cause d’innesco dei dissesti e tendono solo a contenerne gli effetti dannosi, mentre le opere di difesa attiva, come l’ingegneria naturalistica, tendono al controllo delle cause. La realizzazione di difese attive per risanare le aree maggiormente predisposte a tali fenomeni risulta più efficace per proteggerle dai processi alterativi prodotti dalle intense precipitazioni. Il dissesto idrogeologico in Italia è causa di perdite di vite umane ed ingenti danni al patrimonio edilizio ed infrastrutturale, in gran parte riconducibili ad una frettolosa crescita degli abitati con scarsa attenzione alle complesse interazioni indotte dall’azione umana sull’assetto naturale del territorio. Il 70 % dei Comuni italiani è infatti interessato da fenomeni di dissesto (con un 56 % a rischio molto elevato ed elevato). Molte espansioni urbane sono sorti su versanti ad elevato rischio o in aree di pertinenza fluviale, con interventi che hanno modificato il reticolo idrico superficiale, prodotto riduzione delle sezioni dei corsi d’acqua, cementificazione degli alvei, spopolamento dei centri urbani minori e abbandono di vaste aree agricole; anche nella nostra regione si registra una diffusa inadeguatezza tecnico-culturale nella realizzazione di interventi di messa in sicurezza e sistemazione idraulica, che in qualche caso rappresentano solo una giustificazione per edificare nelle aree golenali. Basta osservare le fasce a ridosso di fiumi e torrenti per riscontrare il gran numero di abitazioni, insediamenti industriali ed attività agricole, tutte esposte al rischio che fenomeni meteorici, anche non particolarmente intensi, possano produrre ingenti danni. Secondo il Ministero dell’Ambiente e l’Unione delle Province Italiane (UPI) quasi ogni Comune della Regione Marche ha sul proprio territorio almeno una frana, (cioè 242 comuni su 246), mentre ben 243 comuni sono a rischio idrogeologico (frana ed alluvione), con una percentuale del territorio regionale a rischio che si aggira intorno al 10 %. Si tratta di un problema di vasta portata che, per essere efficacemente affrontato, necessita di ingenti investimenti. Il Piano di Bacino rappresenta lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo più completo per la pianificazione e la programmazione di azioni e norme finalizzate alla conservazione, difesa e valorizzazione del suolo, alla corretta utilizzazione delle acque in relazione alle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio. A vent’anni dalla sua introduzione, però, nonostante il grande lavoro svolto dalle Autorità di Bacino, nessun Piano in Italia risulta approvato, mentre il 47 % delle Autorità di Bacino non ha un PAI (Piano per l’Assetto idrogeologico). Nell’ultimo decennio, infatti, gli stanziamenti per la difesa del suolo da parte dello Stato sono stati costantemente ridotti, mentre le risorse finanziarie si sono concentrate su investimenti estemporanei, stanziati in occasione delle emergenze piuttosto che sulla programmazione ordinaria. Gli strumenti per contrastare efficacemente il rischio idrogeologico consistono nell’attenta pianificazione urbanistica, nell’introduzione di politiche sostenibili nell’uso del suolo, nell’adozione di piani di protezione civile e nello sviluppo di programmi e progetti di intervento. Il Quadro preliminare del fabbisogno economico per gli interventi previsti dal Piano Stralcio di Bacino delle Marche è stato redatto nel 2004; al 2010 erano stati finanziati interventi per circa il 10 % del fabbisogno totale per quanto riguarda i movimenti franosi. Un’indagine di Legambiente e Protezione Civile sull’attività delle amministrazioni comunali marchigiane per la mitigazione del rischio idrogeologico, pubblicata nel 2009, ha evidenziato come solo il 35 % dei Comuni delle Marche svolga un lavoro positivo di mitigazione del rischio. La classe politica si è espressa più volte negli ultimi anni a favore della difesa del suolo, definendola “l’infrastruttura pubblica prioritaria per lo sviluppo del Paese” ma nei fatti non è seguito un adeguato sistema di prevenzione dei rischi legati al dissesto, anche perché i fondi destinati alle opere di messa insicurezza del territorio hanno subito drastici tagli di anno in anno, nonostante ogni anno si debba ricorrere ai fondi della Protezione Civile per qualche emergenza. Alcuni congressi tenutisi nel 2010 hanno messo in evidenza la criticità in cui versa il territorio italiano e la reale gravità di questa situazione, mostrando quanto sia stato scarso finora l’interesse di Governo, Parlamento e Regioni, specie in termini di prevenzione e corretta pianificazione territoriale. I casi studiati mostrano un’Italia con un territorio talmente fragile e vulnerabile che le grandi opere, gli interessi economico-politici e la corsa sfrenata al consumo di suolo risultano compromessi dal verificarsi, sempre più frequentemente, di frane ed alluvioni. Se i fondi pubblici venissero utilizzati per la prevenzione dei rischi legati al dissesto idrogeologico, si potrebbero mettere in sicurezza aree molto estese, con un miglior rapporto costi/benefici e, soprattutto, evitando la perdita di vite umane. I soldi per le nuove edificazioni invece si trovano sempre, si legifera per rilanciare l’edilizia nel presupposto (o pregiudizio) che la produzione di reddito sia legata soltanto alle costruzioni ed alla cementificazione, in un Paese interessato da un calo demografico senza precedenti e in cui i censimenti hanno evidenziato come oltre il 20 % del patrimonio edilizio risulti non abitato. Si trovano fondi per la realizzazione di grandi opere in territori dove non solo gli studi geologici, ma anche la storia locale lo sconsiglia. A distanza di anni dalla loro emanazione, mancano i fondi per l’attuazione compiuta dei Piani di Bacino, per la microzonazione sismica, per la messa in sicurezza dei centri abitati instabili, per la sistemazione di frane, cioè per tutti quegli interventi indispensabili e urgenti per garantire abitazioni e centri urbani sicuri per i cittadini. Anche tali interventi di messa in sicurezza del territorio potrebbero efficacemente produrre nuovi posti di lavoro ed incrementare il PIL, ma essi non sono tra gli interventi appetiti dalle lobby forti del nostro Paese, pronte ad accaparrasi gli appalti, con l’elusione dei veri problemi. Perché stupirsi? Al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici su 118 componenti figurano soltanto due geologi e nessun membro del Ministero dell’Ambiente. Eppure nel nostro Paese (come ricordano i dati della Segreteria Tecnica per la tutela del territorio del Ministero dell’Ambiente) dal 1950 ad oggi si sono avute circa 1500 vittime da dissesto idrogeologico, 3660 se si considerano anche gli eventi causati da interventi umani; negli ultimi 40 anni il costo dei danni da frana è stimabile in circa 30 miliardi di euro con una media di 750 milioni all’anno. Basterebbe assegnare una quota del 10 % dei fondi stanziati per le emergenze alle attività di prevenzione per migliorare la situazione e realizzare ingenti risparmi di denaro pubblico. Si fanno passare per traguardi della politica gli adeguamenti, sempre in ritardo, alle normative europee sulle valutazioni ambientali, salvo poi consentire ed approvare progetti sempre più spezzettati e sottodimensionati rispetto alle soglie di VIA, in modo da eludere i processi di analisi ambientale e geologica per la sicurezza e la sostenibilità dell’opera. E’ per questo che nel 2010 l’Ordine dei Geologi ha chiesto al Governo che il 20 % del denaro stanziato dopo l’emergenza sia destinato per legge alla prevenzione per sanare il meccanismo di rincorrere l’emergenza, che il 20 % dei membri del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici sia costituito da geologi e che siano individuate 20 aree strategiche sul territorio nazionale in cui i geologi, in coordinazione con Autorità di Bacino, Regioni ed Enti territoriali possano dimostrare cosa fare per la prevenzione e la riduzione dei rischi. Un Paese che non investe seriamente nella prevenzione dei rischi geologici e nella gestione delle emergenze è un Paese senza futuro: a seguito della crisi economica, i primi tagli alla spesa pubblica hanno riguardato in Italia l’ambiente e la ricerca e per il dissesto idrogeologico sono rimaste poche decine di milioni di euro. La mancanza di cultura geologica o, più in generale, di quella ambientale, rende ciascuno di noi, ogni cittadino, fortemente limitato nell’esercizio dei propri diritti e nel proprio benessere. E’ assolutamente necessaria una svolta tecnico-culturale che imponga per legge la convergenza di competenze diverse, per giungere ad un’attenta politica di mitigazione del rischio, non con inutili opere successive alle catastrofi, di tipo passivo, come attualmente avviene, ma con opere attive, capaci di controllare e contenere le cause d’innesco di questi fenomeni. La comunicazione non deve essere solo sensazionalistica: i riflettori si accendono sul dissesto geologico solo a catastrofe avvenuta, mentre i fondi spesi per la prevenzione sono molto ridotti rispetto a quelli spesi per la ricostruzione, anche se sono gli unici a poter limitare la perdita di vite umane. Favorire una corretta comunicazione e sensibilizzare la società civile e le istituzioni sulla prevenzione dei rischi geologici deve essere un nostro costante impegno ed obiettivo di tecnici, amministratori e cittadini.

Tutti i dati riportati nel presente articolo sono tratti da pubblicazioni e riviste ufficiali dell’Ordine Nazionale dei Geologi (“Geologia Tecnica & Ambientale”) e dell’Ordine dei Geologi delle Marche (“Geologi Marche – Risorse per il territorio e la sostenibilità ambientale”).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *