#COSECHESIDICONO…VESTIRSI TRA LUSSO E BARBONI

È una serie fortunata di ascolti, visioni e incontri il
#Cosechesidicono di questa settimana.

Cominciamo dall’inizio. 30 aprile Milano. Alla vigilia dell’Expò l’altra faccia della guerriglia urbana: l’inaugurazione del silos maison Armani per i 40 anni di carriera. Un parterre di star internazionali da brivido e il meglio del cinema italiano. Tutti accorsi per omaggiare lo stile austero ed elegante dello stilista italiano che esporta nel mondo l’immagine più prestigiosa del Made in Italy e della creatività italiana, facendo prosperare il mercato del lusso che vede il nostro paese primeggiare davanti alla Francia. Circa 23 miliardi di export, pari al 5% del fatturato totale italiano.

Oggetti del desiderio che ci trasformano anche in acquirenti illegali alimentando il mercato nero del falso.

1 Maggio Civitanova. Si passeggia per il centro e si nota in una vetrina di un negozio di abiti una maglia con scritto “Barboni di lusso”. L’indagine conferma che non è un abbigliamento riservato ad uomini barbuti, non viene definita neanche una linea di moda ma più uno stile di vita per chi ha l’abitudine di pranzare in autogrill e cenare al Mac Donald’s, sostiene uno dei fan del marchio, in barba al tanto elogiato lowfood, e comunque trascorrere molto tempo in locali notturni. Uno slogan che vuole usare il linguaggio sfacciato per evidenziare le contraddizioni dei nostri tempi e parlando di abbigliamento potremmo definirlo di cattivissimo gusto.

2 Maggio al bar. Si discute di abbigliamento, per qualcuno è il centro della propria vita per qualcun altro è argomento di puro disinteresse anzi è persino noioso: “Ma come va vestito quello?!” sbeffeggiando…”Ma che palle!”. Ovvero “mi vesto come voglio”.

Vestirsi può essere un gioco, anche senza indumenti lussuosi o di cattivo gusto, può essere divertente, può dare allegria. Avete saputo della storia di Matilda Kahl, direttrice artistica di una importante agenzia pubblicitaria, che da tre anni indossa sempre lo stesso completo, Pensate un po’ “che noia”, per non dire “che palle!”. Non era preferibile tentare di convincere ad esempio Marchionne a cambiare qualche volta almeno il colore della sua insostituibile maglia?

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