ALESSANDRO SAVI, “IL FALLIMENTO DEI SERVIZI SOCIALI DELLA PROVINCIA DI MACERATA”

savi-alessandroDa Alessandro Savi, Consigliere Comunale di Macerata ed ex assessore alle politiche sociali riceviamo e pubblichiamo:
“Dopo un quinquennio contrassegnato da grandi investimenti, il settore dei servizi sociali della Provincia di Macerata sta chiudendo bottega.
Si tratta di un fallimento tutt’altro che involontario, cercato, perseguito scientificamente con scelte (anzi, non-scelte) mirate da parte del presidente e neppure minimamente ostacolate dall’assessore.
Triste destino, quindi, quello dei servizi sociali provinciali che, da ultima ruota del carro, avevano man mano recuperato terreno fino a divenire protagonisti, per vitalità ed entusiasmo, nella precedente amministrazione Silenzi.
Che la destra sia scarsamente interessata ai servizi, non è un mistero per nessuno.
Che l’UdC – protagonista nella vittoria e nella giunta di Capponi – abbia sempre interpretato e vissuto il sociale con uno spirito “confessionale” e “caritatevole” – quasi fossimo in presenza di favori elargiti e non di diritti conquistati – è un fatto assodato.
Ciò che non è comprensibile né giustificabile è il silenzio assordante che accompagna mestamente questo processo di smantellamento: silenzio delle forze politiche e di quasi tutti i consiglieri provinciali; silenzio delle organizzazioni sindacali; silenzio delle associazioni di volontariato.
Per chiarire la vicenda, occorre fare un passo indietro perché, ad onor del vero, la “questione sociale” riferita alle province viene da lontano.
Addirittura da dieci anni fa, precisamente nel 2000, quando la Legge Quadro 328 (Turco-Signorino) affrontò il tema delle competenze degli Enti Locali in materia di servizi e politiche sociali, assegnando alle province compiti di monitoraggio dell’offerta, di analisi del bisogno e di coordinamento dei servizi.
Inoltre, le province che nel corso degli anni novanta non avevano trasferito ai comuni le residue competenze assistenziali, hanno continuato ad occuparsi di assistenza scolastica ai disabili sensoriali, alle ragazze madri e ai minori a rischio di abbandono (ambito di assistenza ex-ONMI).
Il problema, dunque, sta tutto nell’interpretazione del concetto di “coordinamento” il quale – com’è fin troppo ovvio – non significa ,e non può in nessun caso significare, rinuncia completa a predisporre politiche sociali efficaci nel territorio, a favore delle fasce più deboli della popolazione.
Anzi, è vero il contrario: se da un lato è vero che la provincia non può erogare direttamente i servizi, dall’altro lato niente e nessuno le impedisce di valutare un bisogno, constatare una risposta inadeguata e, di conseguenza, pensare e progettare un servizio erogabile dai comuni, dagli ambiti territoriali sociali, dalle comunità montane, dal mondo del volontariato.
In una parola, questo significa vera azione di coordinamento.
Il progetto del 118 sociale (“Anziani non più soli”) ne ha rappresentato l’esempio migliore: è partito dalla provincia e ha saputo coinvolgere tutti gli Enti Locali deputati all’erogazione diretta.
Coordinamento, allora, da intendere anche come “armonizzazione” territoriale dei servizi e capacità di intervento laddove si è in presenza di uno squilibrio dell’offerta (il territorio montano, per restare nel caso citato, in tema di politiche per la terza età), agendo direttamente su di essa.
In una lettura schematica, dunque, coordinamento significa attenta lettura del bisogno, decodifica della difficoltà e conseguente predisposizione di attività progettuali volte a superarle: questo è ciò che dovrebbe fare un ente che si occupa di “politiche” sociali (così infatti sono denominati gli assessorati provinciali per essere distinti da quelli comunali che sono, appunto, “servizi” sociali).
L’interpretazione opposta (e distorta) del concetto di coordinamento – sposata dall’amministrazione provinciale di Macerata – è quella dell’inerzia e della rinuncia all’azione politica: una interpretazione di comodo, volta ad eliminare un “fastidio”, che poggia sulla sconcertante giustificazione secondo la quale la provincia non avrebbe competenze dirette e, di conseguenza, sarebbe semplicemente una inutile e dispendiosa duplicazione delle competenze comunali.
Niente di più falso, naturalmente.
Altrimenti sarebbe stato più opportuno, da parte del legislatore, intervenire per abolire direttamente gli assessorati provinciali alle politiche sociali e/o trasformarli in qualcosa di diverso senza insistere sul termine “coordinamento” e senza evidenziare, soprattutto, la partecipazione delle province alla stesura e alla realizzazione dei Piani di Zona.
Ma se, per avventura, l’interpretazione corretta fosse quella di Franco Capponi e della sua amministrazione, perché lo stesso ha nominato un assessore con delega specifica alle politiche sociali e non ha preferito, tanto per fare un esempio, accorpare tale delega ad un altro assessorato?
E perché lo stesso assessore ha sentito il bisogno di assumere una segretaria personale quando avrebbe potuto – come hanno fatto tutti prima di lui – utilizzare per quel ruolo il personale del settore?
In un ipotetico sillogismo, la premessa maggiore e quella minore sono assolutamente contraddittorie e impediscono una conclusione conseguente.
E’ oramai passato quasi un anno dalla vittoria di Capponi ed è lecito iniziare ad interrogarsi e giudicarne l’operato, non certamente per eventuali critiche fini a se stesse ma per provare a muovere qualche coscienza – specialmente quelle dei suoi alleati , ma non solo quelle – e provare a cambiare direzione.
Sarebbe oltremodo sgradevole sentirsi rispondere “lasciateci lavorare” (cosa peraltro già accaduta) o, peggio ancora, “l’ex presidente” o “l’ex assessore non hanno ancora preso atto della sconfitta”: in tal modo verrebbe legittimato un atteggiamento “chiuso”, autoreferenziale o addirittura contrassegnato da un vero e proprio “fastidio” nei confronti delle critiche, quasi ci si trovasse di fronte ad un reato di “lesa maestà”.
In realtà, “l’ex presidente” ha investito somme mai investite in precedenza nel settore dei servizi sociali, dimostrando grande sensibilità e vicinanza ai cittadini in difficoltà e, di conseguenza, “l’ex assessore” ci ha lavorato con passione e competenza: entrambi, oggi, sono per questi motivi amareggiati di fronte a cotanto sistematico smantellamento.
Non per utilizzare provocatoriamente termini “forti”, pregnanti, ma davvero non ce ne sono altri atti a connotare le scelte (le non-scelte) dell’amministrazione Capponi in materia di servizi sociali: smantellamento, resa totale di fronte ad una sorta di “fastidio”, chiusura o riduzione all’essenziale di un intero settore.
Del resto, cosa è stato prodotto in questi mesi? Nulla, assolutamente nulla. Salvo gettare alle ortiche le iniziative avviate in passato.
Ma la cosa più grave è l’atteggiamento di sufficienza, quasi di marcamento, di fronte ai progetti regionali gestiti dalle province rispetto ai quali, in passato, erano stati creati veri e propri organismi di gestione e programmazione, costituiti dalle migliori competenze presenti in provincia che hanno lavorato senza ricevere in cambio nemmeno un gettone di presenza.
Gli stessi dipendenti della provincia, pressoché inutilizzati e umiliati da tanta inedia, rappresentano uno spreco ingiustificato di risorse ed intelligenze che andrebbero invece valorizzate come è stato fatto in passato, affidando loro compiti più dignitosi di quelli meramente contabili e di ordinaria e scontata amministrazione.
Sarebbe più onesto, allora, dire chiaramente che i servizi sociali, a questa amministrazione, non interessano affatto e comportarsi di conseguenza, vale a dire: trasferire parte del personale in altri settori, ridurne le competenze a quelle di un “ufficio assistenza” e, soprattutto, risparmiare l’indennità di un assessore che non ha più nessun compito e nessuna iniziativa da portare avanti”.

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