UNA CITTA’ SENZA BAMBINI PER STRADA, E’ UNA CITTA’ CHE NON VIVE

a5“In tanti vogliamo costruire una progetto sulla qualità della vita della nostra città che non dimentichi le emozioni e gli affetti e faccia crescere il senso di appartenenza ad una comunità consapevole e solidale”. Così il segretario del Pd di Civitanova Giulio Silenzi ha introdotto l’incontro su “La città vista con gli occhi di un bambino: le proposte del Pd per una Civitanova migliore”. “Proviamo a riflettere -ha aggiunto Silenzi- sulla solitudine dei bambini considerandola come una grave infermità. Una malattia sociale che noi non conoscevano e che non conoscono i loro compagni dei paesi poveri. Questo problema è considerato dalla nostra società privato, da risolvere all’interno della famiglia e i suggerimenti sono due: difendete i vostri figli e comperate di più.
Da una parte quindi chiudere i bambini in case fortezza, accompagnati sempre dagli adulti e affidati sempre ad adulti; dall’altro comprare tutti quei prodotti che aiutano i bambini a «star bene da soli»: televisore, videogiochi, play station, giocattoli di ogni genere, computer, internet…
Chiaramente la soluzione non è soddisfacente. I bambini rimangono soli e non possono vivere le necessarie esperienze di esplorazione, avventura, scoperta e gioco necessarie per il loro sviluppo. Da queste considerazioni nasce il progetto l’idea «La città dei bambini»: una città dove i bambini possano uscire di casa, incontrarsi con gli amici e giocare con loro. Preoccupa una città senza i bambini per strada perché è una città malata, che non deve prendersi cura di nessuno, che può far finta di esistere solo per gli adulti e per le automobili. Lavorare per il benessere dei più piccoli significa preparare il futuro della società. In Svezia «tutti» i bambini delle scuole elementari vanno a scuola da soli. Gli studiosi ci dicono che sono preoccupati del crollo totale delle autonomie dei bambini e del fatto che consideriamo normale e necessario che vivano sempre alla presenza e sotto il controllo di un adulto. Sono preoccupati del fatto che un bambino non possa vivere l’esperienza dell’ostacolo, della difficoltà e del rischio, man mano che ne sente la necessità, abituandosi così a viver sperimentando la soddisfazione della scoperta, del superamento, della conquista. Sono preoccupati del fatto che i genitori abbiano paura di tutto quello che c’è fuori della porta di casa, che educhi i figli a diffidare degli estranei e che pensino di poter essere loro stessi la garanzia e la sicurezza dei propri figli, controllandoli attraverso il telefonino e accompagnandoli in auto anche per brevissime distanze. Sotto questi atteggiamenti c’è una grande sfiducia nelle capacità dei bambini che in questo modo non riusciranno a costruire i necessari strumenti di difesa e d’adattamento ambientale necessari per affrontare in maniera responsabile e soddisfacente la vita. Le città non hanno speranza di futuro se non saranno capaci di affrontare un cambiamento radicale che costerà anche profondi cambiamenti e costose rinunce per noi adulti. Per gli amministratori che sentono il cambiamento come una necessità irrinunciabile, il progetto «La città dei bambini» può dare un aiuto prezioso. Possiamo chiedere ai nostri cittadini adulti di cambiare perché di questo cambiamento hanno bisogno i loro figli. Cosa ci chiedono i nostri bambini se non di credere in loro, nelle loro potenzialità, di avere fiducia. Siamo consapevoli che la nostra , come la maggioranza delle città, non tengono conto dei bisogni ed delle esigenze dei più piccoli. Le politiche urbanistiche e la progettazione urbana sono state incapaci di ascoltare, interpretare e soddisfare le reali esigenze di chi ci vive, e sempre più negli anni, è cresciuta la separazione tra le persona ed i luoghi urbani. La città più cresce e si sviluppa più diventa ostile per tutti e in particolare per i cittadini, cosiddette deboli – come i bambini – che hanno bisogno di un ambiente comunitario rassicurante e di luoghi accessibili e un ambiente urbano più bello, più sano e più sicuro per tutti i cittadini. Le nostre città sono incompatibili con i bisogni fondamentali dell’infanzia quali il movimento, la socializzazione, l’autonomia, l’apprendimento, l’esplorazione, la possibilità di trasformare il proprio ambiente e, soprattutto, la partecipazione attiva alla vita quotidiana della comunità. In questo senso, la creazione di città più idonee ai bambini è una questione che ci riguarda tutti”. Quali le caratteristiche di una “città amica dei bambini”? Se crescere vuol dire esplorare, fare ricerca, scoprire ed apprendere -ha aggiunto Silenzi- allora una città idonea ai bambini deve soprattutto offrire delle occasioni accessibili in piena autonomia. La città desiderata dai bambini è la città della partecipazione. Pianificare e progettare luoghi ed opportunità idonee ai ragazzi in città richiedono cambiamenti significativi nelle nostre consuete pratiche di realizzazione e di progettazione urbana. Nel rapporto città-bambini l’obiettivo più importante è che i bambini siano riconosciuti come cittadini e quindi aventi d ad utilizzare gli spazi pubblici, ad attraversare le strade, ad occupare le piazze. Progettare con i bambini è un modo per portare alla comunità una grande ricchezza non solo di idee, ma di modi di vedere, di pensare, di rapportarsi all’ambiente”. “Nei quartieri ci vorrebbero dei centri di aggregazione sociale, perché quelle zone non devono essere considerate come dei dormitori, ha detto Lidia Iezzi del coordinamento del Pd”. “Questa è una generazione di adulti che ha fallito, perché non abbiamo più messo l’essere umano al centro del mondo. I nostri bambini si ammalano sempre più spesso di malattie forti. Dobbiamo inventarci qualcosa di nuovo per dare senso alla vita, ha ribadito lo psicologo-psicoterapeuta Vincenzo Luciani. “Con che linguaggi, strumenti, modalità andiamo nei quartieri? Quando il bambino smette di essere bambino, a 10, 14 o a 18 anni? Che tipo di affidabilità devo dare io a quello che mi dice un bambino? L’ascolto è la base, ma riusciamo a sposarlo con l’autenticità della risposta? E con l’affidabilità del comportamento? Qui si costruisce la comunità educante. Si parte dalla famiglia, dalla scuola. C’è tanto lavoro da fare, per chi vuole occuparsi di città. Cosa vuol dire avere dei diritti per un bambino? i quesiti che ha posto Lorenzo Bocchese, vice presidente Arciragazzi. Per Giorgio Barbatelli, docente universitario ed educatore scout “Occorre un cambio di passo e dobbiamo ripartire da noi, per capire che un bambino ha bisogno di giocare. C’è il problema degli asili, sotto le vacanze di Natale dovrebbero rimanere aperti i centri di aggregazione, perché gli adulti lavorano ed i ragazzi hanno problemi per i compiti, è tornato fuori il problema del doposcuola. Ultima cosa che vorrei sottolineare, la novità che sta avvenendo negli ultimi anni, in un quartiere chiuso come il centro storico di Civitanova. Lì c’è una mobilità maggiore e la novità è che c’è un numero sempre maggiore di bambini extracomunitari. Domenica prossima siamo stati invitati dalla comunità filippina al centro di Fontespina, lunedì scorso abbiamo fatto una festa multietnica. Abbiamo fatto venire in piazza i magrebini, i filippini, gli argentini, una ventata di novità per un paese chiuso su se stesso come Civitanova alta. Un lavoro con la scuola che vorremmo continuare è fare un consiglio comunale con i ragazzini delle medie, dove saranno rappresentati anche i ragazzi extracomunitari”.

 

 

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