UN ORSINI COINVOLGENTE NE “IL GRANDE INQUISITORE”

image13Una grande stanza grigia, asettica. Un tavolo metallico. Una scritta al neon che campeggia in alto a destra, sospesa: FEDE. La sua luce vacilla, è a tratti intermittente.
Rumori di passi, musichetta di radio, ritmo cardiaco, sono i suoni che accompagnano, per la prima parte dello spettacolo, il percorso dei due attori in scena. Parola assente. È il primo stupore.
Da Umberto Orsini, uno dei più grandi attori della scena teatrale italiana, ci si aspetta che “reciti”, con la sua voce raffinata, a volte tagliente, sempre ricca di sfumature. Il pubblico non rimane deluso, alla fine le parole diventano un fiume.
Parole dense e insolite per il teatro. Si dimentichi il teatro borghese. Queste sono parole che pongono domande, portano riflessioni, indagano filosoficamente temi come fede, libertà.
“La leggenda del Grande Inquisitore”, con Orsini in scena anche Leonardo Capuano diretti da Pietro Babina, è una rilettura scenica in chiave moderna di quel romanzo mai scritto ma solo raccontato che è un capitolo a sè de “I fratelli Karamazov”. Il personaggio di Ivan, che Orsini interpretò alla fine degli anni sessanta in un famoso sceneggiato televisivo, immaginava, nella sua narrazione, la venuta di Cristo in terra e il Grande Inquisitore lo imprigionava sostenendo che gli essere umani non hanno bisogno di libertà.
Un Orsini oggi maturo, o meglio anziano, alla soglia dei suoi ottantanni, ma meravigliosamente presente, energico, atletico, torna a rivisitare quel testo ponendo al centro della sua drammaturgia una domanda cruciale: è l’uomo oggi in grado di gestire la sua libertà? O non piuttosto preferisce essere guidato da un’autorità che condiziona le sue scelte e delegare ad altri di rappresentarlo?
Il monologo che chiude lo spettacolo, tutto diretto al pubblico, ispirato alle Ted Conference, denuncia il nostro assoggettamento, il nostro bisogno di genufletterci all’autorità. Esserne consapevoli potrebbe aiutarci a conquistare una libertà reale e non fittizia, ma a questa possibilità non si da speranza, le ultime parole sono schiacciate in bocca da un ecclesiastico, scelta non casuale, e l’oratore è messo a tacere per sempre.
Un grande classico della letteratura universale portato in scena con un linguaggio contemporaneo al quale Orsini si concede con grande generosità, si mette in gioco scardinando tutti gli stilemi del teatro tradizionale. Dall’impianto scenico a quello sonoro, dal drone che si alza a indicare come tutti siamo eterodiretti, all’immagine che appare sfocata di un Orsini giovane Ivan. Metafore sceniche di uno spettacolo complesso ma forte ed emozionante.
La stagione teatrale di Civitanova prosegue mercoledì 11 dicembre al Teatro Cecchetti con “L’altra opera. Giuseppe Verdi agricoltore” con Roberta Biagiarelli. Si torna all’Annibal Caro a gennaio con l’attesissima Anna Marchesini.

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