REFERENDUM SULLA SANITÀ. COMI: “NON HA NULLA A CHE VEDERE CON LA RIFORMA. È SOLO PROPAGANDA DEL M5S A SPESE DEI MARCHIGIANI

Il segretario regionale del PD Marche, Francesco Comi, interviene nel dibattito lanciato dal Gruppo consiliare del Movimento 5 Stelle con la proposta di un referendum abrogativo relativo alla riforma sanitaria regionale in atto. Comi sottolinea, come in realtà il referendum invocato dai pentastellati “sia una trovata pubblicitaria male ideata che costa ai marchigiani oltre 3 milioni di euro e che non chiede di cambiare nulla nella riforma attuale. Anzi, restituisce alla politica il potere di nominare i dirigenti”.
1) I quesiti referendari proposti dai 5 Stelle sono quattro e riguardano la L.R. 13/2003
“Il M5S – spiega Comi – propone quattro quesiti referendari per abrogare l’art. 12 della L.R. 17/2013, relativo alla definizione da parte della Giunta delle caratteristiche delle Case della Salute, l’art. 3 della L.R. 17/2011, relativo ad alcune competenze dei direttori sanitari, i commi 2 e 3 dell’art. 3 della L.R. 17/2010, relativo alle funzioni della Giunta in materia sanitaria e i commi 2 e 3 dell’art. 3 della L.R. 13/2003, che racchiude il testo integrato della legge originaria modificata dalle leggi successive di cui ai tre quesiti referendari precedenti”.
2) Il referendum non ha nulla a che fare con la riforma sanitaria marchigiana
“Il referendum del M5S – sottolinea il segretario Comi – non incide in alcun modo, tanto meno retroattivamente, sull’efficacia delle delibere Asur, come ad esempio la famigerata DGR 735/2013, né su alcuna delle delibere di Giunta, come ad esempio la 541/2015. In sostanza – precisa Comi –, esso non riguarda in alcun modo la riorganizzazione dei servizi all’interno degli ospedali di comunità, la scelta tra punti di primo intervento h12 o punti di primo intervento h24, la chiusura o meno dei punti nascita o una diversa organizzazione dei mezzi nella rete dell’emergenza. Ebbene sì – rimarca il segretario –, il referendum non ha nulla a che fare con tutto questo”.
3) La riforma sanitaria regionale non può essere oggetto di consultazione referendaria, riguardando norme nazionali
“La L.R. 5 aprile 1980 n.18 – illustra Comi – disciplina i referendum previsti dallo Statuto regionale. Esso stabilisce che “Il referendum per l’abrogazione totale o parziale di una legge regionale, di un regolamento o di un provvedimento amministrativo di interesse generale, deliberati dal consiglio regionale, è indetto quando lo richiedano almeno ventimila elettori, oppure due consigli provinciali, oppure venti consigli comunali, oppure cinque consigli comunali che rappresentino almeno un settimo della popolazione regionale”. Tale norma – prosegue il segretario – non consente la consultazione referendaria sugli atti di Giunta e sugli atti dell’Asur che recepiscono prescrizioni inderogabili nazionali, in questo caso il DM 70/2015 e la Legge 135/2012. L’unico atto referendabile è il piano socio sanitario regionale 2012/2015, oramai datato e comunque superato dalla disciplina nazionale (DM 70/2015 e L. 135/2012). È molto probabile che i 5 Stelle se ne siano accorti solo dopo aver annunciato il referendum”.
4) Il referendum riguarda la distribuzione dei poteri tra Giunta e Consiglio e tra Direttore Asur e Giunta regionale
“I quesiti referendari – spiega ancora Comi – sottopongono a referendum abrogativo norme che riguardano la mera distribuzione delle competenze tra gli organi politico-elettivi (Giunta e Consiglio) e gli organi burocratico-amministrativi (Direttore Asur, Direttori Aree Vaste, Direttori distretto). La loro eventuale approvazione non produce alcun effetto sugli atti precedentemente assunti dagli stessi organi”.
5) Il referendum si propone di rafforzare le prerogative di controllo del Consiglio, ma in caso di sua approvazione non cambiano i poteri della Giunta. Anzi, aumentano. In particolare, sulle nomine
“Le norme sulle quali sono formulati i quesiti referendari – dice Comi – sono state introdotte al fine di definire in maniera più puntuale, nell’ambito della materia sanitaria, i rapporti tra Giunta, Consiglio e dirigenti regionali. In caso di abrogazione referendaria di tali norme di settore, troverebbero comunque applicazione le norme dello Statuto regionale e quelle della L.R. 20/2001 (Norme in materia di organizzazione e di personale della Regione), che regolano le funzioni e le competenze di tali soggetti.
Ovvero in caso di approvazione del referendum si applicherebbe una normativa che aumenta le prerogative del governo regionale e gli consente addirittura di interferire sulle nomine dei direttori di area vasta”.
6) Per modificare l’assetto istituzionale non basta abrogare, ma occorre legiferare
“Nel caso in cui si volesse disciplinare la materia di cui trattasi in maniera differente, attribuendo maggiori poteri al Consiglio regionale – spiega ancora il segretario –, occorrerebbe disciplinare tale materia in modo differente rispetto a quanto attualmente previsto, senza limitarsi ad abrogare la disciplina vigente. Per fare questo occorre produrre in aula un disegno di legge organico”.
7) Questa consultazione ha un modesto valore giuridico, non cambia in alcun modo i servizi destinati ai cittadini, ma è uno strumento di propaganda molto oneroso
“Le elezioni regionali costano ai cittadini oltre 4 milioni di euro – puntualizza Comi –. Il referendum non credo abbia un costo molto diverso. Occorre riflettere se vale la pena utilizzarlo se non produce alcun cambiamento reale sulla programmazione sanitaria regionale”.

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