LO PSICOLOGO RISPONDE: UN ANNO SE NE VA

anno-se-ne-vaUn altro anno se ne sta andando. Per alcuni si è trattato di un anno propizio, per altri di un anno da dimenticare. Contabilizzando i profitti e le perdite c’è chi guarda all’anno trascorso come ad un tempo guadagnato, chi pensa invece di avere trecentosessantacinque giorni in meno da vivere.
Tutti dovrebbero avere, in ogni caso, un buon motivo per festeggiare la fine di un anno o l’arrivo del nuovo. Ma al di là delle motivazioni strettamente personali che possono variamente colorare i nostri sentimenti di fronte a questo passaggio temporale, la festa di fine anno dovrebbe essere anche, soprattutto, un rito che scandisce il tempo di una comunità.
In origine si trattava di un rito che, assieme ad altri, sanciva l’appartenenza alla propria cultura, consolidando l’idea, implicita, di un’esistenza individuale che trovava significato all’interno di una vita sociale organizzata ciclicamente. Scansione del tempo che indicava, nello stesso tempo, un taglio ed una continuità. Una morte simbolica dentro ad una esistenza, comunitaria e di conseguenza personale, che da un lato continua a scorrere in correlazione con la natura e con l’universo ma dall’altro ne sancisce la sua posizione eccentrica.
Oggi, invece, le festa hanno smarrito la loro forza evocativa, la dimensione catartica un tempo posseduta. L’hanno perduta perché ogni fenomeno sociale rituale è divenuto un involucro formale svuotato di ogni sacralità collettiva, anche laica, divenendo incapace di rispondere alla dilagante solitudine esistenziale. Così una festa che, nello stesso tempo, dovrebbe condensare ‘il già vissuto’ e ‘l’altro da vivere’, trasformare il passato in memoria ed il futuro in attesa, si rivela, essere un momento socialmente svuotato di significato. Un evento che dovrebbe farci sentire parte di un medesimo destino universale diviene un appuntamento che segna l’impossibilità a riconciliarsi con gli altri e con noi stessi. Non stupiamoci allora se così spesso questo ‘passaggio’, d’altronde come tanti altri, non si rivela all’altezza delle nostre attese. Non stupiamocene giacché abbiamo trasformato un’occasione per vivere un ‘lutto’ fisiologico, in un momento che testimonia la nostra stupida rassegnazione per aver mancato, ancora una volta, un godimento che in realtà non esiste. Non ci s’inganni allora: quella malinconia che pervade il nostro animo ad ogni fine d’anno non costituisce un affetto meritevole di stima, di cui noi abitanti del post-moderno non sappiamo nulla, ma è solo l’effetto di aspettative mal riposte. Finita la festa non di rado c’imbattiamo, infatti, in una tristezza che mal si concilia con gli effetti terapeutici che dovrebbero scaturire dall’attraversamento di un autentico rito condiviso.

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