LA BANCA DELLE MARCHE SARA’ UN ALTRO MONTEPASCHI?

Banca-delle-MarcheDopo l’inizio della crisi ha finanziato generosamente gli imprenditori del mattone che ora sono travolti dai debiti. Da mesi la Banca d’Italia esamina i conti.

Uno degli imprenditori presenti parla di scena surreale: “Ci voleva Kafka”. È accaduto giovedì scorso. Il Governatore delle Marche, Gian Mario Spacca, ha convocato un centinaio di imprenditori, i più importanti della regione, e ha chiesto loro di mettersi una mano sul cuore e una sul portafoglio e di tassarsi per salvare la Banca delle Marche. Accanto a Spacca c’era il presidente dell’istituto di credito, Rainer Masera, nominato appena il 9 luglio scorso su indicazione (sussurrata) della Banca d’Italia. Masera, una prestigiosa carriera alle spalle, da Bankitalia all’Imi, ministro del Bilancio nel governo Dini (1995), ha fatto coro con Spacca inneggiando alla “marchigianità” della banca. Ma tutti hanno riconosciuto che i conti sono “un disastro”. L’ennesima storia di banche scassate e di politici locali che non vogliono perdere la presa.

Solo che stavolta la Banca delle Marche è veramente scassatissima. Gli ispettori della Banca d’Italia, che dall’anno scorso stanno aprendo tutti i cassetti nella sede centrale di Jesi (in provincia di Ancona), non si decidono a chiudere la loro ispezione. Qualcuno paventa lo la spettro del commissariamento a breve.

I NUMERI non perdonano. A fine giugno la banca ha emesso un “prestito obbligazionario subordinato Upper Tier II”, cioè un prestito a tasso di rischio così elevato che la cedola promessa è del 12,5 per cento. Si tratta di 80 milioni, che vanno trovati entro il 31 luglio per rientrare nei coefficienti patrimoniali minimi fissati dalla vigilanza bancaria. Finora 20 milioni li hanno versati le Fondazioni di Jesi e di Pesaro, che insieme a quella di Macerata controllano il 55 per cento della banca. Fondazioni squattrinatissime, modello Siena, con in più la Macerata in rotta con le altre due, che le hanno respinto la proposta di un’azione di responsabilità contro gli amministratori che hanno ridotto la banca in condizioni pietose. Mancano all’appello 60 milioni, ed è questione di vita o di morte. Se gli imprenditori locali non si tassano Bankitalia prenderà in mano la situazione e Banca delle Marche sarà verosimilmente salvata da qualche gruppo del credito maggiore. Il bilancio 2012 di Banca delle Marche, chiuso con 526 milioni di perdita, illustra perfettamente come si può ridurre una banca quando viene gestita dalle oligarchie politico-economiche del mai troppo lodato territorio. L’anno si è chiuso con 13,9 miliardi di finanziamenti in bonis, cioè senza problemi apparenti, e 4,7 miliardi di crediti deteriorati, come si dice in gergo. Di questi, 1,3 miliardi sono stati semplicemente cancellati, cioè dati per persi, e sono rimasti 3,4 i miliardi di crediti deteriorati (cioè di difficile recupero), pari al 19,7 per cento degli impieghi. Per farsi un’idea si consideri che il sistema bancario italiano nel suo complesso, che se la passa sempre peggio come potete leggere nell’articolo a pagina 3, ha i crediti deteriorati attorno al 7 per cento degli impieghi.

La Banca delle Marche si è distinta perché dopo il 2008, mentre gli altri istituti italiani chiudevano i rubinetti alle società immobiliari, ha deliberatamente ignorato la crisi del mattone innescata negli Stati Uniti, e ha continuato a largheggiare in crediti al settore. Un’inchiesta del settimanale L’Espresso rivelò nel 2011 che “lo scrigno dei soldi facili della Cricca era stato individuato dai magistrati di Firenze e e Perugia nella Banca delle Marche. Balducci, Anemone e la loro corte di amici, soci e familiari godevano di percorsi facilitati per muovere denaro”.

La Banca d’Italia scrive da anni lettere di fuoco ai vertici dell’istituto di Jesi, che hanno reagito con girandole di nomine e dimissioni, fino all’arrivo di Masera. In una di queste, rilevando una girandola di assegni per 160 mila euro versati su un conto dell’allora direttore generale Massimo Bianconi, la vigilanza tuonava: “Tali operazioni evidenziano profili di opacità che non appaiono coerenti con la deontologia professionale che deve connotare l’operato del-l’alta dirigenza di una banca”.

BIANCONI ha lasciato la Banca un anno fa, con lauta buonuscita, dopo che Bankitalia aveva allungato lo sguardo su una’altra “opaca” operazione immobiliare fatta da Anna Rita Mattia, moglie di Bianconi, con l’immobiliarista Vittorio Casale, poi in dissesto con il suo gruppo Operae e arrestato. Negli anni della direzione generale di Bianconi, dal 2004, la Banca delle Marche aveva abbondantemente finanziato Casale. Ma altri sono i gruppi immobiliari che hanno beneficiato di crediti che oggi mettono nei guai la banca. Trea questi il noto gruppo che fa capo alla famiglia Lanari.

Dopo l’uscita di Bianconi è esploso il caso del direttore generale organizzazione, Corrado Faletti, indagato dalla procura di Bergamo per falso e truffa al locale ateneo, nel quale si era candidato per una docenza di economia – dopo aver già insegnato nell’Università marchigiana di Camerino – vantando nel curriculum due lauree, una in biologia e una in fisica dei calcolatori, inesistenti.

Mentre si frantumavano i conti e la reputazione della Banca delle Marche, la politica locale ovviamente non si è accorta di niente, restando intenta come al solito a spartirsi le poltrone nelle Fondazioni e nell’istituto di credito. Seguendo alla perfezione il modello Siena, anche le tre Fondazioni che controllano l’istituto marchigiano non hanno più risorse per salvarlo, ma vogliono ad ogni costo mantenerne il controllo in nome e per conto della politica e delle trasversali alleanze massoniche che guardano a Masera come al possibile salvatore. L’ultima speranza è una cordata di imprenditori vogliosi di investire nella banca: la sta organizzando un avvocato di Recanati Paolo Tanoni, e sembrano interessati Francesco Merloni (crisi Indesit) e Adolfo Guzzini (quello delle lampade). Vedremo a giorni se partono i bonifici da 60 milioni. Solo per cominciare.

Da Il Fatto Quotidiano del 23/07/2013

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