Provo sempre un certo fastidio, quando sento parlare di giovani come categoria politica. Può darsi che questo appaia come una sorta di corporativismo da parte mia, che sono molto vecchia, e magari lo è. Per questo vorrei tentare una riflessione meno superficiale ed escludente.
Ma prima di tutto cito una importante donna di anni fa dell’Udi, Maria Michetti, che in proposito aveva una opinione molto precisa e la enunciava con quella nettezza e forza che tutte quelle che l’abbiamo conosciuta, non possiamo dimenticare. Soleva dire: “In politica abbiamo tutti e tutte la stessa età!”
E se la si guardava stupite, aggiungeva: “Perché nella politica ci si associa su progetti prospettive programmi, che vengono scritti votati e approvati perché si è di quella opinione, non perché si è della stessa età”. Del resto, io pure, dopo aver lottato a vita, trovando anche molti ostacoli e difficoltà, quando cominciai a sentire che mi appellavano “nonnina, nonnetta, vecchina vecchietta”, con ciò riconoscendomi il privilegio di poter salire le scale con calma e passare per prima da una porta, rivendicavo con forza il diritto al fiatone, ma nello stesso tempo risposi con un rifiuto agli affettuosi appellativi, fondando anzi un “Club delle Vecchiacce”, cioè di quelle donne anziane, che non rinunciano ad essere delle streghe invecchiate e amano anche fare ancora un po’ di paura: ma si tratta di giochi di società, non è politica.
Invece, quando gli e le studenti incominciarono ad essere chiamati/e “giovani”, a metà circa degli anni settanta, scrissi sul manifesto un articolo nel quale sostenevo – e sono ancora di quella opinione – che il o la giovane è “biodegradabile”, dato che la gioventù è una malattia che con l’età passa di sicuro, mentre lo o la studente è un soggetto sociale e politico, che si costruisce una coscienza del suo ruolo, diritti ecc: dunque è molto preferibile chiamarsi o essere appellato/a studente, studente lavoratore o lavoratrice, studente precario/a, ecc.ecc.
Cioè siamo definite e ci definiamo in base a determinazioni, dette spesso anche identità, che fanno riferimento al genere o al ceto o gruppo sociale o classe di cui ci dichiariamo parte, non per caratteristiche biologiche. Infatti non è possibile costruire una coscienza di sé in quanto bionda o con gli occhi verdi, mentre lo è in quanto lavoratrice dipendente, ricercatrice, madre single ecc.ecc. Questo ci fa obbligo di studiare analizzare connettere le caratteristiche delle varie forme di coscienza di sé che scopriamo o costruiamo, di misurare la forza reale che possiamo esprimere, trovare linguaggi e forme di relazione adeguate, insomma diventare un vero soggetto politico che offre e cerca alleanze, organizzazione, obiettivi, percorsi ecc.
La sola identità biologica o anagrafica è povera e ripetitiva, non produce coscienza di sé, né progetto, serve solo per diventare forza subalterna manovrabile da chi vuole appunto affermarsi attraverso generiche “prove di forza”, che peraltro restano fine a se stesse, conquistando una identità muscolare. Non per nulla il motto “Largo ai giovani!” era un motto fascista tipico e servì per spostare violentemente la classe al potere, sostituirla, senza combatterla, ma appropriandosi dei suoi privilegi. Non è un degno progetto e del resto, usato in un periodo di crisi strutturale e globale degli assetti capitalistici vigenti, rischia di restare stritolato e invece di fornire identità sociale produce passività sociale, proprio quando massimo è il bisogno di attività, risposta, proposta, movimento autonomo. Insomma davvero è fatica con poco costrutto il dichiararsi a gran voce “giovani” senza ulteriori determinazioni.
In effetti il riferimento all’età è cosi poco significativo per stabilire una qualsiasi piattaforma d’azione o richiesta di diritti che non si conosce nessuna vicenda di quel tipo che non sia servita solo a fornire soccorso a chi un progetto l’aveva. È una vecchia storia, altro che gioventù!
Articolo di LIDIA MENAPACE da http://www.noidonne.org/articolo.php?ID=03819