IL LEGNO STORTO E QUELLO PUTRIDO

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Di Eugenio Scalfari

Mubarak è caduto sotto la spinta irrefrenabile della gioventù egiziana. Berlusconi oscilla, sempre più impotente e sempre più Caimano e registra per la prima volta lo smottamento dei consensi che finora costituivano la base del suo sistema di potere. L’opposizione comincia (finalmente) a considerare la necessità di costruire un’alleanza repubblicana che guidi il paese fuori dal pantano in cui è precipitato.
Questi sono i fatti della settimana che si conclude oggi con la manifestazione delle donne in tutte le piazze d’Italia per affermare la loro dignità ed opporsi al degrado che ci sovrasta.

C’è un tema che unifica questo panorama di eventi e lo prendo da una frase ormai celebre di Immanuel Kant sul “legno storto dell’umanità”. Isaiah Berlin ha scritto un libro intitolato a questa frase. L’umanità è un legno storto e lo è perché l’uomo risulta da un’incredibile mescolanza di istinti e di ragione. Un legno storto ma un legno vivo, con radici e fronde vitali. Nelle vene del suo tronco scorrono linfe, passioni, sentimenti, memoria, progetti, ragionamenti, sogni, trasgressioni, bisogno di regole e di limiti.

Questo è il legno storto e questo siamo tutti noi. Ma l’opposto non è un improbabile anzi impossibile legno dritto, bensì un legno marcio, un legno imputridito, divorato dai parassiti e dai coleotteri velenosi. Noi, legno storto, non vogliamo che il nostro legno imputridisca, marcisca e sia divorato dai parassiti.

Questo dunque è il tema al quale gli eventi di questi giorni si ricollegano ed è la chiave per poter leggere e svolgere con chiarezza. Un tribuno che si eccita quando fiuta l’odore del nemico e dello scontro, ha citato anche lui la massima kantiana leggendola come un alibi che giustifichi i peccati di tutti e di uno in particolare. Ha anche accusato Umberto Eco di leggere Kant senza capirlo. Non so se quel tribuno vociante e urlante dal palco d’un teatro milanese imbandierato di mutande abbia letto i romanzi e i saggi di Eco. Se li avesse letti si sarebbe accorto che tutta l’opera di Eco è l’analisi e il racconto del legno storto che combatte il legno marcio, a volte vincendo, a volte soccombendo, ma sempre e comunque testimoniando.
Detto questo, a noi non importano molto i peccati perché siamo libertini illuministi e relativisti. A noi importano gli eventuali reati e chi pecca e crede confidi nella misericordia di Dio.
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Berlusconi non è un fatto episodico e anomalo nella storia italiana.
Conversando l’altro giorno con Nanni Moretti, l’autore del Caimano ha detto ad un certo punto che dai geni antropologici della nostra nazione sembra emergere una sorta di predisposizione a cedere alla demagogia. Nel suo articolo di mercoledì scorso Barbara Spinelli aveva esaminato della predisposizione come si manifesta nelle sue varie forme e quali ne siano state le cause storiche.

Molti anni prima, nel 1945, in un dibattito alla Consulta che è rimasto nei verbali di quell’istituzione, ne parlarono Ferruccio Parri e Benedetto Croce a proposito di Mussolini e del fascismo. Croce sosteneva che fosse un fatto anomalo, un tragico incidente di percorso; Parri era di diverso avviso, non un incidente ma, appunto, una predisposizione, un effetto ricorrente ad intervalli periodici, un virus annidato nell’organismo del paese insieme agli anticorpi capaci di combatterlo ma a volte soccombenti di fronte alla sua irruenza.

In un contesto diverso e con caratteri diversi, Berlusconi raffigura una nuova insorgenza di quel virus e questo spiega il largo consenso che l’ha fin qui sorretto. Ma ora gli anticorpi sono entrati in azione e non basteranno i tacchi dalla Santanché e le contumelie di Ferrara a ridare al virus la sua potenza corrompitrice.
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L’opposizione sta finalmente considerando la necessità di dar vita ad un’alleanza repubblicana. Sembra decisa sull’obiettivo che si propone ma ancora molto incerta sulle modalità, sui tempi, sulla leadership ed anche sui partecipanti. Da Fini a Bersani? Da Casini a Vendola? Anche con Di Pietro? Guidati da chi? Per fare che cosa?

Includendo anche quella parte del Pdl che dovesse eventualmente abbandonare il proprietario di quel partito?

E la Lega? Si deve trattare con la Lega? Questa lunga sfilza di domande ancora senza risposte è preoccupante.

Significa che i soggetti protagonisti non hanno ancora capito che il tempo a disposizione è corto e che compete proprio a loro di accorciarlo perché – e questo lo capiscono tutti – nelle odierne condizioni il paese non può stare più oltre.
Debbo su questo punto una risposta personale a Nichi Vendola il quale giovedì scorso ad Annozero di Michele Santoro ha ricordato un mio articolo di oltre due mesi fa in cui sostenevo che non era il momento di andare alle elezioni e che bisognava piuttosto lavorare per disarcionare Berlusconi installando al suo posto un governo interinale che guidasse il paese fino alla fine naturale della legislatura.

È perfettamente esatto, ho scritto proprio così perché allora il contesto politico ed economico a mio avviso consigliava questa soluzione ed in questa chiave si aspettava il voto parlamentare del 14 dicembre. Ma proprio quel voto, con i suoi tre voti di differenza in favore del governo ottenuti sappiamo come, cambiò radicalmente il contesto. Oggi non si può che andare alle elezioni a meno che il premier non si dimetta. C’è ancora chi crede in un’ipotesi del genere? Mubarak è stato costretto a farlo, ma l’Italia non è l’Egitto e i due casi non sono paragonabili.
Dunque bisogna affrettare le elezioni e rispondere a quella selva di punti interrogativi che abbiamo sopra elencato.
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Un’alleanza repubblicana deve avere dei promotori che indichino gli obiettivi e decidano la leadership. I promotori si sono già manifestati: Bersani, cioè il Partito democratico unito su questa linea e Casini, cioè l’Udc, o forse il Polo della nazione che comprende anche Fini e Rutelli.

L’obiettivo è stato indicato: cambiare la legge elettorale avvicinandola agli elettori; affiancare con misure appropriate la crescita economica al rigore di bilancio; costruire un federalismo che non sia secessionista ma un solido ed efficiente sistema di autonomie regionali e comunali. Infine restituire alle istituzioni la loro dignità, la loro autonomia e la loro efficienza nel rispetto della reciproca indipendenza tra i poteri dello Stato.

Fin qui i promotori. I quali – ecco un punto che ancora non è stato chiarito ma che è parte essenziale dell’operazione, non possono mettere veti alle forze politiche che decidessero di partecipare all’alleanza, anzi debbono mirare ad ampliarla il più possibile.

Gli esiti scoraggianti dell’Unione che erose dall’interno il governo Prodi del 2006 avvennero in un contesto del tutto diverso. Oggi non si tratta di dar vita ad un’alleanza di governo così estesa. L’alleanza di governo riguarda i partiti promotori. Le altre forze saranno invitate a far parte d’un cartello elettorale che concordi sull’obiettivo ed è questo che marca la differenza.

Ma c’è un altro punto che va chiarito. Una volta perfezionata l’alleanza e il cartello elettorale, i promotori debbono chiedere al Presidente della Repubblica lo scioglimento delle Camere per la loro manifesta impossibilità di legiferare. Il Parlamento da oltre due mesi è in stato di paralisi e questo di per sé motiva la richiesta di scioglimento della legislatura.

Va aggiunto che la paralisi parlamentare e l’impotenza del governo a governare motiva anche l’iniziativa autonoma del Capo dello Stato il quale ieri pomeriggio ha richiamato di nuovo l’attenzione pubblica su questa sua insindacabile prerogativa costituzionale.

Resta il tema della leadership. Esprimo su questo punto un parere personale: non credo che il leader d’una alleanza tra la sinistra e il centro-centrodestra possa esser guidata da un esponente politico proveniente da una delle forze alleate. Deve essere rappresentativo di tutte e soprattutto della società civile.

Parlammo a suo tempo d’un “Papa straniero” in questo senso. Prodi lo fu e vinse due volte in nome e per conto delle forze alleate. Ciampi, in condizioni del tutto diverse, guidò un governo di ricostruzione repubblicana.

Il leader di questa alleanza non può che rispondere a queste caratteristiche: rappresentare il comune denominatore e possedere una specifica competenza soprattutto economica perché è quello il tratto dominante della situazione.
Ma va aggiunto che anche la scelta del presidente del Consiglio spetta al Capo dello Stato che, in situazioni del genere e con l’aiuto della coalizione vincente può anche scegliere un premier diverso da quello indicato sulle schede come leader della campagna elettorale.

Post scriptum. Domenica scorsa segnalai la pericolosità di riformare l’articolo 41 della Costituzione. Tutte le opposizioni hanno criticato quell’ipotesi approvata dal Consiglio dei ministri, definendola del tutto inutile ai fini della crescita economica. Per quanto mi riguarda sono perfettamente d’accordo su questa critica, ma la vera pericolosità è un’altra: sarebbe la prima volta che si emenda un articolo scritto nella prima parte della Costituzione, quella cioè che enumera i principi ispiratori della nostra Carta. Riscrivere quell’articolo e metterlo in votazione costituirebbe un pericolosissimo precedente. Del resto il ministro Sacconi, parlando in televisione di questa questione, ha dichiarato che la riscrittura dell’articolo 41 prelude ad una vera e propria rivoluzione culturale basata su nuovi principi ispiratori. Si aprirebbe dunque la strada ad uno stravolgimento della Costituzione, che non può esser fatta a colpi di emendamenti ma richiederebbe l’eccezionalità d’una nuova Assemblea costituente. Credo che le forze politiche responsabili dovrebbero impedire che un precedente del genere sia una mina sotterranea sotto la nostra democrazia costituzionale.

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