IL BURLESQUE CHE STIAMO ANCORA PAGANDO

scalfari_eugenioAlfano: “Faremo un nuovo partito che rifiuterà il finanziamento pubblico”

Comincerò con un preliminare che apparentemente non c’entra con i problemi che più interessano gli italiani e invece c’entra eccome. Si tratta del “burlesque” evocato l’altro giorno da Silvio Berlusconi dinanzi ai magistrati della Procura di Milano nel processo Ruby. Un giornale a lui amico ha scritto in proposito: “Berlusconi non è mai stato così libero, così vero, così testardo e virile, così morale come ieri in Tribunale. È una persona degna di ammirazione da parte di chiunque sappia distinguere tra principi non negoziabili, che non sono in ballo, e peccadillos, tra sesso predatorio e gioco piacione, tra peccato e reato”.

Non voglio né posso entrare nella testa dell’autore di queste righe, che si protraggono per un’intera colonna di giornale. Dico soltanto che il racconto delle feste di Arcore e di Roma fatto dall’imputato ai magistrati inquirenti è talmente miserabile, talmente impudente e infarcito di falsità da squalificare la persona, quale che sia il suo ruolo sociale e professionale. Se poi si tratta d’un presidente del Consiglio, basta questo racconto a far capire a tutti in quale precipizio fosse caduta la dignità e la credibilità del nostro Paese. Gli inquirenti hanno il compito di stabilire se si trattava di “peccadillos” o di reati, ma a noi basta così: ce n’è abbastanza per metterlo fuori da un “cursus honorum” che ha portato solo oneri e che il Paese sta ora duramente pagando. C’è costato molto caro quel “burlesque”. Lui si è divertito e pensa di continuare, scambiando l’Italia per il Paese dei balocchi.

Che un personaggio simile ci abbia governato per tanti anni, questo sì è un fatto incredibile, eppure è accaduto e rappresenta la nostra collettiva vergogna.

Nubi oscure rabbuiano di nuovo i mercati e l’economia reale dell’Europa e dei Paesi dell’Unione. I sacrifici pesano e il futuro appare di nuovo incerto.

Aumenta la rabbia e l’insicurezza, alimentata anche da alcune incaute sortite di alcuni protagonisti che pensano più alle loro convenienze che ad una visione del bene comune che dovrebbe essere in cima ai loro pensieri. Spiace dover annoverare tra gli incauti parlatori anche il ministro del Lavoro, che ancora ieri da Torino ha gettato olio sul fuoco. Elsa Fornero è stata chiamata a compiere un lavoro molto difficile e faticoso e lo sta facendo con indubbia dedizione, ma se parlasse di meno sarebbe un vantaggio per tutti e sarebbe molto opportuno che il presidente del Consiglio l’avvertisse del pericolo di gettar fiammiferi accesi in un pagliaio.

Il problema reale è ancora e sempre quello della crescita.

L’euro si salverà se i primi segnali di rilancio della domanda e della fiducia riusciranno a modificare in positivo le aspettative delle imprese, delle banche, degli investitori. Da questo punto di vista qualche novità c’è anche se il circuito mediatico, che cerca più il sensazionalismo che la sostanza, l’ha forse sottovalutato.

Il primo segnale consiste nel pagamento alle imprese creditrici del Tesoro che attendono da mesi e addirittura da anni di ricevere quanto gli è dovuto.

Il ministro dello Sviluppo sta perfezionando con le banche la certificazione di 30 miliardi di crediti; Corrado Passera nella conferenza stampa del 18 scorso ha dichiarato imminenti “smobilizzi bancari per almeno 20-30 miliardi per rimborsare le imprese creditrici” ed ha aggiunto che “verrà adottata in anticipo sulla scadenza prevista la direttiva europea sui ritardi di pagamento per evitare che in futuro si accumuli nuovo arretrato”.

Venti o trenta miliardi di liquidità alle imprese creditrici rappresentano un braccio di leva notevole, rimettono in moto un indotto che vale cinque volte di più; è una scossa e non è la sola. Il Cipe ha varato progetti e cantieri per 30 miliardi, di cui 20 di contributo pubblico, che riguardano per oltre metà il Sud.
Un altro intervento imminente riguarda la cartolarizzazione di una parte del patrimonio pubblico che sarà utilizzato per diminuire lo stock del debito sovrano. L’ammontare di quest’operazione è di circa 300 miliardi in tranche di 50 miliardi l’anno. I vantaggi sono evidenti: una diminuzione del debito produce un’equivalente diminuzione degli oneri per i pagamenti di interessi e di cedole. Se nel frattempo si riduce anche il rendimento dei titoli il vantaggio per il Tesoro è duplice ed aumentano le risorse per accrescere le tutele sociali e diminuire la pressione fiscale.

Infine prosegue la lotta all’evasione dalla quale ci si attendono almeno 20 miliardi per l’esercizio 2012.
Il controllo delle forze politiche che appoggiano il governo e della pubblica opinione deve essere concentrato sulla rapida esecuzione di questa politica che deve svilupparsi in un quadro europeo altrettanto orientato alla crescita e qui si apre il capitolo Germania che nelle prossime settimane dovrà essere affrontato con rinnovata energia.

Oggi la Francia vota al primo turno delle elezioni presidenziali: sapremo tra poche ore se ci sarà una vittoria definitiva o se si andrà tra quindici giorni al ballottaggio tra Hollande e Sarkozy.

A noi italiani interessa molto chi sarà il futuro presidente francese. Al di là delle opinione politiche, per quanto riguarda l’Europa e quindi anche noi, una vittoria di Hollande è la più auspicabile. Il candidato socialista ha messo infatti come suo primo impegno un incontro con la cancelliera Angela Merkel alla quale chiederà che le spese per investimenti siano escluse dai parametri di Maastricht, che l’Europa si faccia carico di massicci investimenti in infrastrutture da finanziare con l’emissione di Eurobond e che la Bce sia più libera di adottare una politica monetaria più aggressiva.

Chiederà in sostanza che la Germania abbandoni il rigorismo e si ponga alla guida d’una politica espansiva della quale c’è grandissimo e urgente bisogno.

Vedremo se Hollande vincerà e se il suo progetto europeo sarà accettato dalla Merkel, ma è importante che Monti, con il prestigio internazionale ormai acquisito, affianchi Hollande nelle sue pressioni sulla Germania. Una svolta in quella direzione sarebbe infatti decisiva.

Sappiamo quali sono gli ostacoli: i falchi della Bundesbank, in Germania, l’establishment bancario di Wall Street e di Londra, il Partito repubblicano in Usa.

Ostacoli non da poco, che rappresentano corposi interessi e puntano sulla disgregazione dell’euro e quindi dell’Europa.

Al fondo c’è la visione d’un capitalismo antidemocratico che mantenga rendite e privilegi rafforzando il potere mondiale di un’oligarchia multinazionale che cavalca gli aspetti negativi della globalizzazione e ne affievolisce gli aspetti positivi.

In un suo recente articolo Alfredo Reichlin ha sottolineato l’importanza di questo scontro sostenendo che questa è la linea del Partito democratico: contro l’antipolitica e a favore d’una politica che diminuisca le diseguaglianze e riduca le rendite e i privilegi. È giusto battersi per questi obiettivi. Essi richiedono tuttavia una pre-condizione: un rinnovamento profondo dei partiti e del loro finanziamento. E qui entriamo nell’ultima delle nostre osservazioni.

Giorni fa una nostra autorevole collaboratrice, Nadia Urbinati, ha difeso con buoni argomenti il finanziamento pubblico dei partiti purché i loro bilanci siano compilati sulla base di precise regole e siano periodicamente controllati da un’Autorità terza di sicuro prestigio. Per esempio dalla Corte dei Conti. Aggiungo un altro requisito: che l’ammontare del finanziamento sia a dir poco dimezzato a partire da subito.

Il dimezzamento significa inevitabilmente un cambiamento organizzativo: non più partiti strutturati ma partiti cosiddetti “liquidi”, non clientele politiche ma infrastrutture che aiutino la società ad esprimersi attraverso associazioni nazionali e territoriali con scopi specifici e concreti. Non partiti di proprietà d’un capo, ma espressione di cittadini che si manifestano con votazioni primarie per la scelta di una classe dirigente degna del nome e aperta al cambiamento generazionale.

Attualmente è in corso una sorta di affollamento al centro dello schieramento politico. Berlusconi ed Alfano annunciano una trasformazione del Pdl, Casini si prenota con il partito della Nazione, Montezemolo progetta una lista civica nazionale di tecnici e di intellettuali di sua conoscenza (?).

Molte di queste iniziative sono velleitarie e somigliano ad un “burlesque” parapolitico. Tutte risentono di una deformazione padronale. Curzio Maltese l’ha descritta appaiandola al comportamento delle scimmie babbuine. La descrizione è crudele ma eloquente ed è una sindrome che si estende anche ai partiti e movimenti di opposizione con Grillo e Di Pietro in testa. Sfugge a questa regola soltanto il Pd dove non esiste alcun leader proprietario.

Esiste però un’oligarchia che dovrebbe aprirsi ed essere più inclusiva di quanto finora sia stata.
Il tempo è breve, i problemi aperti numerosi. Auguro che l’ottimismo non sia soltanto quello della volontà ma anche quello della ragione.

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