PRESCRIZIONE O ASSOLUZIONE STA A LUI LA SCELTA

scalfari

Da Repubblica – 28 febbraio 2010 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA
EUGENIO SCALFARI
….L’ episodio più recente che ha provocato l’ ira funesta di Silvio Berlusconi è stata la sentenza della Cassazione che, a Sezioni unite, ha giudicato prescritto il reato di corruzione in atti di giustizia dell’ avvocato Mills, lasciando aperto il processo per lo stesso reato nei confronti del presidente del Consiglio. La Cassazione ha dato torto alla Corte d’ appello milanese che aveva condannato Mills a quattro anni e mezzo di carcere. Secondo le Sezioni unite il processo Mills era caduto in prescrizione da tre mesi e mezzo. Non così per Berlusconi, nei confronti del quale il processo continuerà fino a quando decadrà anch’ esso per scadenza dei termini nella primavera del 2011. In un primo momento il premier sembrava aver gioito (e con lui tutti i suoi “replicanti”) della sentenza delle Sezioni unite che «aveva dato torto ai giudici di Milano». Ma il giòito è durato poco di fronte all’ evidenza: il processo continua per la semplice ragione che il reato è tuttora da giudicare ed è un reato di estrema gravità perché il premier è accusato di aver corrotto un magistrato e “comprato” una sentenza. Per Mills non c’ è stata assoluzione ma prescrizione dei termini. Per Berlusconi sarà probabilmente altrettanto: nel marzo del 2011 sarà probabilmente prescritto ma non assolto e per un uomo politico che guida il governo nazionale questa situazione gli evita il carcere ma non cancella le macchie infamanti di quel reato. Che può fare il premier per evitare questo scorno e cancellare quelle macchie? Alla ripresa del processo i suoi avvocati potrebbero decidere in suo nome di rinunciare alla prescrizione e chiedere al Tribunale di riconoscere la sua estraneità rispetto ai reati. Se si comportasse in questo modo acquisterebbe una credibilità della quale ha molto bisogno ed anche altre iniziative legislative in corso, come per esempio quelle preannunciate contro la corruzione, le guadagnerebbero. È infatti evidente a tutti quale valore si possa dare a inasprimenti di pena per reati di corruzione quando chi propone tali inasprimentiè lo stesso soggetto che si sottrae al suo processo utilizzando la prescrizionei cui termini sono stati abbreviati da 15 a 10 anni dalla legge Cirielli “ad personam”. Non dimentichiamo infine che sono attualmente all’ esame del Parlamento due leggi rispettivamente già votata una alla Camera e l’ altra al Senato, sul “legittimo impedimento” e sul “processo breve”. Ambedue hanno la stessa finalità di estinguere i procedimenti in corso contro il premier per decadenza dei termini o per improcedibilità, senza mai poter arrivare a sentenza sul merito del reato, se sia stato commesso oppure no. Questo è il punto di fondo e dipenderà soltanto da Berlusconi se vorrà che sia dimostrata la propria innocenza o preferirà fuggire dal processo. Non sarebbe del resto la prima volta; tra il 1999 e il 2003 fu prescritto già quattro volte: nel lodo Mondadori, nell’ illecito finanziamento del Psi per 21 miliardi di lire date a Bettino Craxi, nel falso in bilancio Fininvest e nell’ acquisto del calciatore Lentini da parte del Milan, pagato in Svizzera con fondi neri della Fininvest. In nessuno di quei casi Berlusconi chiese di rinunciare alla prescrizione. Ora ne avrebbe l’ occasione di farlo. Meglio tardi che mai. Lo farà? Lo spero, ma non ci credo. Il bavaglio alla stampa è un’ altra delle leggi mirate a diminuire il tasso di libertà e di opposizione al malaffare che imperversa. Si obietterà che giornali e giornalisti sono parte in causa e che quindi la loro (la nostra) opposizione a quel disegno di legge è di natura corporativa. Può darsi. Può darsi che inconsciamente dentro di noi questo sentimento vi sia. Ma noi possiamo invocare a nostro favore il fatto che la libertà di stampa è un principio tutelato dalla Costituzione che ne fa anzi uno dei requisiti principali della democrazia. La nostra opposizione del resto non riguarda il tema delle pene detentive minacciate contro i giornalisti che non ottemperino agli obblighi normativi. Nell’ ultima versione di quel disegno di legge sembra che le pene detentive siano state tolte, ma la nostra opposizione resta fermissima. Ci rendiamo ben conto che riferire intercettazioni (peraltro solo quando siano state rese pubbliche dai magistrati inquirenti) utilizzando i testi in modo parziale col rischio di fraintenderne il senso compiuto, può arrecare gravi danni alla privatezza delle persone intercettate e soprattutto a quelle casualmente coinvolte nelle conversazioni. Questi difetti possono essere rimossi con disposizioni intelligenti che obblighino i giornalisti a riferire i fatti con parole proprie e/o con brani virgolettati ma compiuti di senso. In questi casi il giornalista non potrà difendersi dietro il velo del virgolettato ma riferirà con parole proprie assumendosi la piena responsabilità di quanto scritto e dovrà difendersi in giudizio dall’ eventuale querela per diffamazione. Si potrà anche (secondo me si dovrebbe) far cadere dinanzi al magistrato il diritto al segreto sulle fonti quando si riferiscano fatti e notizie ancora secretati. Tutto ciò detto, vietare alla stampa ogni accesso alla fase istruttoria del processo è una pretesa inaccettabile e incostituzionale. La fase istruttoria è delicatissima poiché è in quella sede che si formano e si rassodano gli indizi di colpevolezza o di innocenza e i materiali probatori che poi saranno valutati e circostanziati nel corso del dibattimento. L’ attenzione della stampa sull’ operato delle Procure e della polizia giudiziariaè materia di primaria importanza perché il controllo dell’ opinione pubblica su tutte le fasi del processo scoraggia e comunque rende note eventuali manovre di insabbiamento, sistematicità dei rinvii richiesti dai difensori, collusioni sempre possibili tra i magistrati che indagano e le parti indagate. La presenza della stampa è utile, oso dire più nella fase istruttoria che in quella dibattimentale. Le responsabilità di giornali e giornalisti debbono essere a loro volta accuratamente indicate e le sanzioni eventualmente inasprite, ma il divieto d’ accesso non può essere accettato e il divieto di riferire radicalmente respinto. Continuoa pensare che il bavaglio alla stampa violi un principio costituzionale che neanche il potere legislativo può cancellare. Né potrebbe farlo una legge di modifica della Costituzione trattandosi di un principio indisponibile. L’ ipotesi ventilata sulla Stampa da Luca Ricolfi di creare un apposito organo di regolamentazione autonomo rispetto alla magistratura e cogente verso i giornali mi sembra una costruzione barocca che si infrangerebbe non appena si dovessero scegliere i modi per formare questo improprio tribunale, esso sì di natura corporativa. Quanto all’ altra proposta dello stesso Ricolfi di consentire ai giornali l’ accesso alle fonti in fase istruttoria e riferirne «a rotazione periodica» tra le varie testate, mi sembra una proposta che mi permetto di definire ridicola. A volte il potere corrompe non le tasche dei probi ma i loro cervelli. E questo non è un rischio remoto ma estremamente attuale tra quelli che stiamo correndo.