DOMANDE CONTROCORRENTE SUL CASO SALLUSTI

sallustiChiarisco subito onde fugare equivoci: la pena del carcere è troppo, si provveda a cambiare la legge. Ciò detto non posso tacere un certo disagio per la corale levata di scudi a cominciare da Quirinale, palazzo Chigi, ministro della giustizia. Il caso Sallusti non si risolve nel suo spiacevole epilogo. Un epilogo che peraltro speriamo non sia effettivamente il carcere. Il nostro ordinamento è nel suo complesso abbastanza garantista da autorizzarci a confidare che in carcere Salusti non ci andrà. E comunque il caso dovrebbe suggerire meno enfasi, più misura, più consapevolezza della molteplicità e della complessità dei problemi che, profittando dell’occasione, merita mettere a tema. Provo a raccoglierne alcuni attraverso una sequela di interrogativi.
La legge, giusta o sbagliata che sia, non va rispettata? La magistratura non ha il dovere di applicarla? La legge non è uguale per tutti, giornalisti compresi? La libertà di stampa non è un diritto che, come tutti i diritti, non è esente da limiti? Che c’entra la libertà di opinione con la pubblicazione di notizie false (a quanto sembra, consapevolmente false) e calunniose? Le vittime non vanno difese, neppure quando si rifiutano loro le scuse e la doverosa rettifica? Basta che un articolo non sia firmato perché non ne risponda nessuno? Il Quirinale ha diritto di sindacato su sentenze definitive? Non è contraddittorio che, tra coloro che più strillano in queste ore, vi siano politici che propongono il carcere per i giornalisti in tema di intercettazioni, con palese intento intimidatorio? E’ normale che si faccia scrivere sotto pseudonimo un signore radiato dall’albo dei giornalisti per comportamenti immorali e illegali? Nulla da dire sul fatto che quel signore sia stato portato in parlamento per premiarlo dei servizi resi come “agente Betulla” nel quadro della vergognosa campagna diffamatoria verso Prodi, Fassino e altri sul caso, costruito ad arte, Telekom Serbia, che per un intero anno ha occupato le prime pagine de Il Giornale? A fronte di questo cumulo di problemi, politici e media si sono tutti e unanimemente concentrati sulla ingiusta condanna comminata a Sallusti, rappresentato come martire della libertà di stampa, e persino sull’asserito accanimento dei magistrati.
Mi chiedo: non merita, così, distrattamente, spendere una parola sul giornalismo inteso come killeraggio verso gli avversari politici? Quel giornalismo di cui i Sallusti e i Farina sono campioni. Come se tale giornalismo, quello che ha confezionato il cosiddetto metodo Boffo, non gettasse discredito sul nobile e impegnativo mestiere del giornalista. Come se esso non avesse responsabilità nell’imbarbarimento della nostra vita civile e politica. Come se, di quell’uso della penna e del compiuter come armi per distruggere le persone, non vi siano state innumerevoli vittime (certo più anonime di Sallusti ma segnate per sempre) per le quali non il capo dello Stato ma proprio nessuno ha levato la voce e mosso un dito.
Ribadisco: condivido l’esigenza di correggere la legge sul punto delle sanzioni. Magari suggerirei di farlo senza la precipitazione e l’ossessione del caso singolo che sono sempre cattive consigliere quando si legifera sulla delicata materia dei diritti. Ma è difficile sottrarsi all’impressione che, al fondo di tanto, troppo zelo, stiano due pulsioni magari inconsapevoli: un riflesso corporativo della corporazione dei giornalisti e lo spirito partigiano o corrivo dei politici, quelli di destra che corrono in soccorso di uno dei loro, quelli di sinistra che devono ostentare il loro animus liberale e longanime verso gli avversari. Meglio sarebbe dare prova di distacco e compostezza.

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