#COSECHESIDICONO… UN CAFFÈ SALVA LA VITA

E’ un inno al caffè, a quell’aroma esotico che pervade l’aria e che invita alla convivialità. Si, prendersi un caffè è concedersi una pausa, una occasione per passare del tempo insieme o per discutere questioni più o meno importanti. Chi di noi non ha detto: “Dai, ci prendiamo un caffè e ne parliamo”?
E’ la bevanda più popolare al mondo, nata nell’altopiano del Kaffa in Etiopia, diffusa rapidamente in tutto il pianeta, considerata tra le più inebrianti e stimolanti, tanto che nel ‘700 la borghesia, in piena ascesa sociale, la preferiva al cioccolato, considerato “molle” e quindi più confacente all’aristocrazia. Va detto a onor del vero che il motivo era da individuare anche al fatto che costava ben tre volte di meno! Il caffè era e rimane un rito molto italiano.
Ora l’alternativa sempre più frequente è l’orzo, che si è diffuso in modo massiccio durante la Seconda Guerra Mondiale, quando non tutti potevano permettersi di comprare il caffè che subendo i blocchi doganali imposti dal fascismo era aumentato di prezzo.
Un’alternativa sicuramente più salutista ma meno vivace. L’aroma è meno intenso, rispetto alla densità del caffè l’orzo sembra più una sciacquatura e nessuno osa ancora dire “Ci prendiamo un orzo?”, ma sentir dire “Morta, piuttosto che un orzo!” fa veramente sorridere. Eccolo l’inno al caffè, al suon della morte.
Nel linguaggio odierno la parola morte la rifuggiamo, viene solitamente edulcorata e mistificata. Può diventare scomparso, non è più tra noi, si è spento, è venuto a mancare, se ne è andato. È come se la volessimo rimuovere in questa società che ci vuole sempre giovani prestanti ed eterni. Eppure la parola morte è paradossalmente utilizzata con molta più frequenza proprio in situazioni informali e senza particolare tragicità.
Da “mi piaci ma morire” a “chi non muore si rivede”. Dal “fare la mano morta” a “giocare con il morto”. Da “avercela a morte con qualcuno” a “sapere di che morte si deve morire”. Solo per citarne alcuni e non utilizzare sinonimi altrettanti cruenti nel significato ma utilizzati spesso con la stessa leggerezza come “lo ammazzerei”. Una sorta di inconsapevole e spontaneo riscatto all’ipocrisia della rimozione che si sa essere falsa e ingannevole. “Morta, piuttosto che un orzo”, allora richiama la forza sintetica, sprezzante e fiera di “Mejo de pesce che d’oio santo”.

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