#COSECHESIDICONO…SULLA SCUOLA NON SO COSA CAMBIA

Siamo già in agosto, le scuole sono chiuse, gli esami finiti e il decreto cosiddetto “buona scuola” è legge dai primi di luglio. Le forti proteste dei docenti si sono appena placate. Passerà questo mese e da settembre alla riapertura verificheremo le conseguenze concrete della nuova legge.

Nel frattempo qualcuno si è disperato: “Mi è venuto da piangere quando la legge è stata approvata”. Eppure alla domanda: “Si ma cosa cambierà?” la riposta è stata uno sconcertante. “Non lo so”.

Segno non tanto dell’ignorare gli effetti futuri della nuova normativa quanto più un disagio per il parziale coinvolgimento dei diretti interessati.

Si sono dette e scritte tante parole e non voglio aggiungerne altre a questo già lungo elenco, preferisco lasciare lo spazio a una riflessione molto più autorevole e lucida di Nadia Urbinati, docente di scienze politiche alla Columbia University che supportata dalla distanza geografica guarda al suo e al nostro paese con maggiore obbiettività.

La Urbinati valuta che siano tre i pilastri che questa riforma in realtà dovrebbe rivedere.

“Il processo messo in moto mira a rendere le scuole autonome
finanziariamente e le dichiara per questo “buone”. Ovvero sono buone scuole quelle che riescono a ovviare ai contributi statali perché situate in territori generosi (con un tessuto sociale ricco economicamente e culturalmente). Le altre quelle che devono affidarsi completamente allo Stato sono quelle che non riescono a raggiungere l’autonomia finanziaria, segno che son peggiori, meno attraenti e situate in territori poco abbienti.
Chi ci va parte svantaggiato”.

“I criteri di valutazione sono basati su ragioni di parzialità e quindi esposti alla corruzione se a giudicare gli insegnanti è una commissione composta dal capo dell’Istituto, alcuni genitori, alcuni insegnanti e alcuni rappresentanti degli studenti. Gli insegnanti più simpatici, più popolari potranno godere di premi in denaro. Criteri valutativi che sono votati al conformismo e non alla buona scuola”.

“Sconto sulle tasse a chi iscrive i propri figli alle scuole private. Lo Stato offre scuole a bassissimo costo o a zero costo di iscrizione. Perché chi sceglie di pagare l’iscrizione a una scuola privata dovrebbe avere uno sconto fiscale? Questo si configura come un privilegio”.

Sono accuse gravi e pesanti (pubblicate nel numero 25 del settimanale Left) rimaste per ora inascoltate.

A settembre ci sapremo aggiornare.

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