#COSECHESIDICONO…NON IN MIO NOME

È uno degli slogan più famosi, reso popolare dai manifestanti pacifisti che si opponevano alla scelta dell’allora presidente americano Bush di fare guerra all’Iraq. Scritto in tanti cartelli e striscioni sfilò durante i cortei che tra la fine del 2002 e l’inizio del 2003 invasero Londra, Parigi; New York. È diventato un simbolo di opposizione a scelte di governanti, spesso sordi ma che ci rappresentano, di cui si ripudia la responsabilità. In questi giorni è diventato il nome della campagna dei musulmani di tutto il mondo che hanno condannato l’attentato alla redazione di “Charlie Hebdo”. Tante foto di islamici postate in rete con l’hashtag, #notinmyname, scritto su fogli grandi e piccoli, anche sulle mani, per ribadire non in mio nome, non in nome dell’Islam.
Lo abbiamo letto, abbiamo abituato l’occhio alla sua vista, quindi mi ha destato un certo stupore ascoltarlo e in un bar di Civitanova. Lo stupore è aumentato quando ho scoperto che non si trattava di un musulmano che si dissociava dagli attentatori parigini ma di un giovane autoctono. Non condivideva la scritta nazionalpopolare apparsa su un manifesto affisso sui muri della nostra città dopo la fiaccolata per la sicurezza: “Ha vinto Civitanova”. Commento: ”Notinmyname”.
Si è già scritto molto sulla fiaccolata e a distanza di qualche giorno la conclusione evidente è che è stata il primo banco di prova della lista civica che l’ha organizzata per sondare il suo futuro candidato sindaco.
Tema caldo di battaglie politiche la sicurezza, questione che non va mai sottovalutata ma che per essere garantita richiede in primis un costante lavoro di concerto tra molti livelli istituzionali e organi di controllo. Il procuratore capo di Macerata Giovanni Giorgio nel settembre scorso dichiarò: “La tutela dell’ordine pubblico è affidata alle forze di polizia giudiziaria, con il coordinamento della procura; non è una delle competenze dei sindaci, che per la verità possono fare ben poco”.
Un paio di mesi fa Elisabetta Melotti, procuratore capo della provincia di Ancona, rispetto all’idea di un aumento di furti e rapine nel territorio, parlò di “percezione distorta” e aggiunse “è doveroso dire che i dati non registrano nessun aumento rispetto agli anni precedenti”.
Sulla parola “percezione” si è fatta molta ironia da noi, ma in realtà la questione riguarda in modo preoccupante l’intera penisola che, secondo una recente indagine britannica (Ipsos Mori), ha la percezione più sbagliata sui 14 paesi coinvolti nella ricerca (europei, nordamericani e asiatici).
La percezione più sbagliata di tutte è quella sulla percentuale di disoccupati che è del 12%, mentre gli intervistati la davano al 49%. Alla domanda “Qual è la percentuale degli immigrati in Italia?”: il dato medio percepito è stato del 30 %, mentre il dato reale è circa l’8%. Anche in questo caso gli italiani risultano i meno informati.
Si imputa parte della responsabilità di questo “indice di ignoranza”, così è stato definito, ai media poco indipendenti o atti a non discernere o peggio strumentalizzare tutte le notizie che vengono inserite nella rete. A questo penso sia doveroso aggiungere la nostra pigrizia a leggere e per rimanere nel merito, alla dilagante abitudine di informare di qualsiasi irregolarità prima gli amici di facebook che non le forze dell’ordine.
Proprio qualche giorno fa il Presidente della Corte d’Appello di Ancona Carmelo Marino ha anticipato i dati più recenti per la nostra regione che vede in aumento i casi di omicidio (25%), furti (9%), usura (115%), corruzione (125%), diminuiscono invece rapine (-19%), stalking (-6%) e pedofilia (-17%).
Ricominciano tutti, cittadini e amministratori, a ragionare con questi dati che non sono né rassicuranti né allarmanti, ma solo il più vicino possibile alla realtà.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *