#COSECHESIDICONO…ELOGIO DELLA NOTTE…BIANCA

“Era una notte incantevole, una di quelle notti che succedono solo se si è giovani, gentile lettore. Il cielo era stellato, sfavillante, tanto che, dopo averlo contemplato, ci si chiedeva involontariamente se sotto un cielo simile potessero vivere uomini irascibili e irosi”.
È l’incipit del racconto “Le notti bianche” di Dostoevskij, a detta di Saviano “lo spazio più sensuale della letteratura russa, anche se non c’è nemmeno un bacio”. Una confessione che dura quattro notti nell’atmosfera magica e incantata che regala San Pietroburgo, come altre città del Nord Europa, nei giorni in cui accade che il sole scende per non più di 9 gradi al di sotto dell’orizzonte, non facendo mai mancare la luce crepuscolare. L’apice di questo fenomeno cade il 21 giugno quando il giorno dura quasi 18 ore e la notte ha una luce solare.
È da qui che nasce l’idea delle notti bianche. La prima a Parigi nel 2002, Bruxelles e Roma seguono l’anno successivo. Un milione e mezzo di persone che si riversano in strada per godere delle tante iniziative culturali organizzate per l’occasione. Veltroni, sindaco di allora, invita tutti a “conoscere la città da un altro punto di vista, in altre ore e con una diversa prospettiva”. Con uno spirito fatto di “apertura, curiosità, voglia di vivere e condividere”. Da tutti quell’evento è ricordato anche per il più grande black out che funestò l’Italia intera proprio nella notte tra il 27 e il 28 settembre 2003.
Le grandi città proseguono la tradizione delle notti bianche e hanno stilato anche una carta d’intenti per condividere finalità e non disperdere i valori e le ragioni originari di queste iniziative. Nel 2001 c’era stato l’attentato alle Torri Gemelle, il mondo viveva uno stato di choc, di paura, si sentiva il bisogno, la necessità di una scossa, di riappropriarsi dei luoghi, di riversarsi in strada, di condividere, di socializzare nel segno della cultura e dell’arte.
In realtà l’idea non è nuova, Renato Nicolini, l’illuminato assessore alla cultura della Roma degli anni di piombo, con lo stesso spirito elaborò il progetto dell’Estate Romana, una risposta molto più rivoluzionaria di quella incentrata sulla violenza e sulla paura. E tornano in mente le parole di Dostoevskij (ancora lui) “La bellezza salverà il mondo”.
Ma cosa è scritto nella carta di intenti? Intanto che una Notte Bianca è una manifestazione culturale, aperta a tutti e gratuita. Si tiene tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno (a Parigi si svolge ogni anno, da allora, il primo sabato di ottobre) e si articola per una intera notte. Privilegia la creazione contemporanea in tutte le sue forme e mette in scena lo spazio pubblico, luoghi solitamente chiusi o abbandonati, periferici e luoghi prestigiosi appartenenti al patrimonio della città riutilizzati in modo originale. La Notte Bianca deve essere una occasione per promuovere altre forme di mobilità e deve favorire un interscambio tra il centro e la periferia.
Sono intenti importanti, valoriali, che rendono il progetto della Notte Bianca alto e pieno di spessore. Ogni Notte Bianca dovrebbe essere occasione per sperimentare un nuovo modo di vivere la città. Sappiamobene che negli anni tutto ciò si è disperso, o è stato strumentalizzato per altri fini, tanto che oramai si è arrivati a utilizzare l’espressione “Notte Bianca” con una accezione dispregiativa, sinonimo di accozzaglia, magna magna, sagra, qualcosa che di arte e cultura ha solo una parvenza. E poi sono arrivate tutte le declinazioni cromatiche, da bianca a rosa, blu, verde, nera; è diventata tematica, la notte dello sport, del rock, della ricerca. Ecco allora che il #cosechesidicono di questa settimana “No, non vado alla notte bianca” (intendendo VitaVita) fa struggere un po’ il cuore. Non dovremmo rinunciare a partecipare a una “Notte Bianca”, a una vera “Notte Bianca”.
Buona Notte!

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