CIVITANOVA, “VITA VITA” AL FUME’

c1Raccontare VitaVita non è semplice e nessun racconto può essere esaustivo. Ognuno la vive come vuole e come può, se riesce a districarsi tra le tante proposte, prettamente musicali, concentrate nell’arco di un tempo e di uno spazio troppo circoscritto, che costringe a districarsi tra la folla immane che spesso rallenta il cammino e ostruisce la visione.
Nona edizione anticipata da una serie di polemiche sui costi, sulla dicitura, decisamente altisonante “festival internazionale di arte vivente”, che hanno costretto gli organizzatori a ribadire ancora una volta che non si tratta di una notte bianca. Un’ostinazione incomprensibile considerando che le “notti bianche”, dicitura ispirata al romanzo omonimo di “Fëdor Mikhailovič Dostoevskij”, quindi già rispettabilissima, sono nate con fini nobili legati alla volontà di riappropriarsi delle città in nome dell’arte, a una socializzazione in un orario inconsueto come quello notturno. Forse negli anni la diffusione capillare ne ha fatto perdere lo spirito più puro per prendere la strada del connubio strettamente commerciale, ma rimane pur sempre un’iniziativa lodevole almeno per la chiusura al traffico veicolare.
Girare per Civitanova nel tardo pomeriggio di sabato 25 agosto era un vero piacere. La calura tropicale ha ritardato l’afflusso pomeridiano per concentrarlo nella fascia serale e nelle strade senza macchine si respirava. A piedi, per inerzia, abitudine e istinto, si era quasi reticenti a scendere dai marciapiedi, ma le biciclette, con liberatoria anarchia, dominavano le strade. Si assiste alle fasi preparatorie. Musicisti alle prese con cavi, soundcheck, prove estemporanee in abiti informali, una bevuta al volo. Si ruba qualche frammento autentico, un piccolo tassello che più tardi sarà fagocitato dall’orgia generale. Alcune viuzze del borgo marinaro erano splendide. Le piccole e nuove attività che lì si stanno sviluppando hanno colto l’occasione per allestire in modo elegante lo spazio esterno. L’atmosfera richiamava quasi quella delle Cinque Terre. La stessa piazza Conchiglia era rinnovata dalle proiezioni sulla parete dell’edificio che di solito imperversa col suo grigiore.
Mentre cala la sera e comincia ad affluire sempre più gente, si rubano brevi dialoghi. Bambini che chiedono di cosa si tratta e papà che rispondono con semplicità, “E’ la notte bianca!”. C’est la vie!
All’ingresso dei giardini sale sul podio l’angelo occhialuto di Chris Channing. Faccia splendida, figura ieratica che elargisce piccoli pensieri come quelli del santone indiano, in piazza xx settembre, che sfida le leggi della fisica, suscitando la curiosità sul trucco che lo tiene sospeso.
La bella mostra Inside Marylin, al Caffè Maretto, attira gli appassionati d’arte e anche qualche guardone che assiste al body painting sul corpo seminudo della modella. Le loro facce non si possono descrivere, ma sono esse stesse delle opere d’arte estemporanee.
Via Mameli è un angolo di pace e di bellezza. Una fila di lumi bianchi tagliano in diagonale tutta la via per arrivare a un tappeto di vero prato dove si esibisce il trio Spring che si può ascoltare comodamente seduti su tronchi di legno anch’essi candidamente dipinti di bianco. Un piccolo ristoro anche dal fumo e dal puzzo che per tutta la serata ha invaso la piazza principale, facendo venire il dubbio ai più di essere stati improvvisamente catapultati alla sagra della salsiccia. Un paradosso considerando la recente ordinanza sui fatidici barbecue. A volte il buon senso purtroppo subisce sconfitte madornali. Il puzzo e il fumo hanno fatto riemergere quello spirito critico che per la serata si era cercato di soffocare, con la volontà di cogliere solo le cose belle che la manifestazione malgrado tutto non lesina. Nulla ha potuto persino l’incursione di Neri Marcorè salito sul palco insieme a Serena Abrami. Ecco allora che lo sguardo cambia e si nota la ballerina sopra il pianoforte, già vista lo scorso anno, persino con le stesse musiche. Forse il direttore artistico ha temuto che non abbiano “lasciato un romantico ricordo nel cuore dello spettatore”, come è scritto nella presentazione all’interno del programma e ha preferito invitarli nuovamente. Riprova sarai più fortunato, si sarà detto.
Come dimostra di avere un amore viscerale per la “Compagnia dei folli”, che ormai da numerosissime edizioni chiude la serata, e si vede costretta a riciclare vecchi spettacoli mantenendo però la sua storica battaglia tra bene e male, dove il bene vince sempre. All’apice della serata le migliaia di persone, che sembravano vagare alla ricerca della situazione più giusta per loro, forse sarebbero state meglio supportate da punti informativi, piantine giganti con le postazioni segnalate o altro materiale atto ad accogliere almeno chi non è della città. Per quanto sia sempre affascinante farsi catturare da un incontro improvviso, la calca imponente che imperversava per le vie in realtà era ostacolo e limite a qualsiasi distrazione, costringeva a diventare spettatore mordi e fuggi. Ci si chiede. Perché concentrare le iniziative in un perimetro così circoscritto? Perché concentrarle in un tempo così circoscritto? Se le proposte venissero diluite nel tempo e nello spazio sicuramente tutti ne potrebbero godere con più piacere, spettatori, artisti, commercianti e anche gli stessi organizzatori. Una diversa modalità potrebbe anche incentivare altri sponsor, per alleggerire il carico della cassa comunale, che ora finanzia quasi in toto la manifestazione, con 45 mila euro, con una riduzione di circa 20 mila euro dallo scorso anno, sperando che i tagli non siano ricaduti esclusivamente sugli artisti, ma tutti se ne siano fatti carico.

Vita Vita nel tempo ha perso la sua poetica originaria e ora sembra essere senza una identità definita. Non è sufficiente che la città sia un palcoscenico, tutte le città lo possono diventare. Deve recuperare una sua originalità, un fuoco intorno al quale elaborare un progetto realmente artistico. Non è sufficiente una dicitura altisonante per rendere tale la manifestazione. Altrimenti si chiede che non finisca alle 2 ma tiri avanti fino all’alba, che si chiami e sia notte bianca, senza pudore.
Per chiudere non poteva mancare un riferimento alla classica frittella della Società Operaia, che è il metro di misura usato per valutare il gradimento della festa. Anche se quest’anno era decisamente al fumè! Rimaniamo in attesa di conoscerne il numero.

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