“BERLUSCONI CI PORTA PIU’ TASSE. LA PRESSIONE FISCALE E’ RECORD”

berlusconiMolte tasse, poco lavoro e pochi servizi. Questa la miscela depressiva prodotta dall’immobilismo del governo Berlusconi durante la crisi più dura del secolo. Secondo gli ultimi dati Ocse relativi al 2009, per la pressione fiscale l’Italia sale al terzo posto, subito dopo la Danimarca e la Svezia, due Paesi modello quanto a welfare e servizi. Per il nostro Paese si tratta di un livello mai visto da 15 anni a questa parte: il 43,5%. Un dato in salita rispetto al 43,3 del 2008 e superiore a quello del Belgio, sceso al 43,2% rispetto al 44,2% dell’anno precedente.

CIFRE
Tutte cifre che inchiodano il governo, che per ora ha risposto con l’avvio di un tavolo (domani un appuntamento) per studiare una riforma complessiva. Nulla di più. Vero è che il Pil in contrazione aumenta il peso delle tasse. Ma la recessione nel 2009 è stata condivisa da tutti i Paesi del mondo:solo l’Italia retrocede toccando il suo record. È chiaro a questo punto che gli altri Paesi hanno garantito sgravi fiscali per fronteggiare la crisi: solo Roma non l’ha fatto. L’argomento ricorrente del governo su questo punto è stato quello del rigore. «Con la sinistra staremmo come la Grecia », ripetono dal centrodestra. A dirla tutta, in quanto a tasse stiamo peggio della Grecia e di tutti gli altri. E peggio anche del Belgio, che è riuscito a dimezzare il debito e ad alleggerire la pressione fiscale per fronteggiare la recessione. E non è stato l’unico caso. Tutta l’area Ocse, cioè quella dei Paesi industrializzati, ha assicurato stimoli fiscali all’economia, tanto che la pressione fiscale media nell’area ha toccato il livello più basso dal 1990. Solo l’Italia è in controtendenza.

ANOMALIA
Ma l’anomalia italiana si nasconde dietro la cifra complessiva. Se si fornissero anche i dati disaggregati della pressione fiscale per tipologia di reddito, si scoprirebbe che i lavoratori dipendenti e le pensioni hanno subito un aumento molto più forte, la pressione sul lavoro autonomo è diminuita e quella sulla rendita resta quasi nulla rispetto agli altri Paesi. Insomma, troppe tasse e sui cittadini più deboli. È la destra, bellezza, verrebbe da dire. Riequilibrare questa composizione non avrebbe compromesso i conti pubblici, come continua a sostenere il governo, ma avrebbe sicuramente assicurato più risorse alle famiglie, rafforzando la domanda interna. Maglia nera nel fisco, maglia nera nel lavoro. Solo l’Italia tratta così male il lavoro dei giovani. Nel 2009 il tasso di occupazione nella fascia d’età 15-24 anni era del 21,7% contro la media Ocse del 40,2%. Insomma, risulta occupato solo un giovane su cinque, a fronte di una quota di occupati pari al 35,8%nell’Ue. Solo l’Ungheria ha un tasso inferiore (18,1%) all’Italia. Nel nostro Paese questa voce è calata più della media: nel 1999 l’occupazione giovanile risultava al 27,3 per cento, laddove nell’Ue a 19 era al 40,3 per cento e nell’Ocse al 44,7 per cento. L’analisi sui giovani a prima vista sembra un rompicapo: occupazione e disoccupazione calano insieme. La dinamica riflette un dato ancora più preoccupante: in molti si rassegnano e abbandonano la ricerca di lavoro. Il fenomeno riflette una tendenza globale. Dall’inizio della crisi nell’area Ocse ci sono 3,5 milioni di giovani disoccupati in più e almeno 16,7 milioni si trovano nel gruppo cosiddetto «Neet» cioè non lavorano e non studiano. Tra questi ultimi 6,7 milioni sono in cerca di un impiego mentre altri 10 milioni hanno smesso di cercare. Studi condotti negli stati uniti e in inghilterra suggeriscono inoltre che un periodo di disoccupazione all’inizio dell’esperienza lavorativa possa avere effetti negativi persistenti sui salari, anche del 6-8% venti anni dopo. Di qui l’invito dell’Organizzazione ad avviare politiche che favoriscano l’ingresso nel lavoro, includendo ipotesi di sostegno al reddito accompagnato dalla ricerca attiva di occupazione. «Investire nelle persone giovani – afferma il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria – è vitale per scongiurare il rischio di esclusione a lungo termine. Bisogna lanciare programmi di intervento che forniscano un’efficace assistenza alla ricerca di lavoro per i giovani».

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