A VINCERE LE ELEZIONI E’ STATO IL NUOVO

politicaParto dal calcio perché ho sempre pensato che nessuno sport meglio di esso possa prestarsi a paragoni, ad essere metafora o simbolo di un fatto sociale o politico. Ebbene: di fronte ai dati che emergono dall’ultima tornata elettorale, non può non tornare in mente il caso della Nazionale Italiana, in trionfo in Germania e sbeffeggiata in Sudafrica. In soli quattro anni l’ossatura di una squadra ed il suo commissario tecnico sono stati protagonisti di una mutazione genetica peggiore di quella avvenuta in Messico nell’86, all’indomani (si fa per dire) dell’epopea spagnola. Bearzot e Lippi (non necessariamente in quest’ordine) come Berlusconi e Bersani e, nella nostra provincia, come Comi e Silenzi. E come chissà quanti altri politici con la “P” maiuscola nelle altre province d’Italia, anch’essi travolti dall’insolito destino che sembra distruggere miseramente (quasi) tutti coloro che hanno il torto di occuparsi di politica da un po’ di tempo, magari da qualche anno. Poco importa se tra questi vi sono anche quarantenni (come Comi): l’onda forcaiola, a torto o a ragione, ha colpito chiunque e lo ha risucchiato nell’oceano di una antipolitica che è divenuta il primo partito nel nostro Paese. Si dice: la gente non ne può più. Gli italiani sono stanchi di fare sacrifici mentre “loro” vivono nella bambagia dove, per “loro”, si intende indistintamente il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Consigliere Comunale di Macerata, Civitanova o Tolentino come di qualsiasi altra città. Dal calcio alla politica, ricordo sempre con grande stima un ministro del governo D’Alema, Nerio Nesi, il quale, distorcendo il pensiero di Marx (ma fino ad un certo punto), amava ripetere che il popolo stava abbandonando definitivamente il concetto di “lotta di classe” per sostituirlo con quello di “invidia di classe”, quasi a sottolineare come il proletario del 2000 stesse modificando il suo approccio nei confronti del “padrone”, visto non più come sfruttatore contro il quale lottare ma, al contrario, come un esempio da emulare (anche nel linguaggio comune, il “padrone” è diventato, infatti, imprenditore che dà lavoro quasi come se potesse prescindere dal lavoratore). Dalla politica alla filosofia, da Toqueville a Nietzsche, il concetto di invidia si trasforma in risentimento: per il primo, nelle società democratiche feriscono principalmente le piccole differenze mentre per il filosofo tedesco lo spirito gregario è tipico del gregge che si difende solamente attraverso la manifestazione dell’odio nei confronti di “chi sta sopra” (l’inferno, non a caso, è pura invenzione delle classi sociali più umili). Invidia e risentimento, rabbia e antipolitica (ma non ditelo a Grillo…) oggi si mescolano come in un’alchimia travolgendo chiunque: proprio come in una “carica” della Polizia nei confronti di un gruppo di tifosi, non ci si preoccupa più di tanto se, tra gli stessi tifosi, ci sono anche donne, anziani e bambini. L’espressione “quelli che comandano” è estesa a chiunque abbia il torto o la colpa di occuparsi di politica da più di due/tre anni, tanto è necessario per essere additato come “uno di loro” a prescindere dal fatto che, nel corso di tutta una esperienza, si sia stati onesti o disonesti, preparati o impreparati, buoni o cattivi amministratori della cosa pubblica. A Tolentino, dopo un’era geologica di governi di centrosinistra, vince Pezzanesi e perde Comi. Perché? Perché il primo ha fatto quasi piazza pulita della vecchia classe politica, rifiutando persino (a quanto si dice) la partecipazione dei big della sua coalizione alla campagna elettorale. La sua era una lista giovane, non compromessa con il passato. Il suo era un atteggiamento autarchico, tipico di chi l’ha vista lunga ed ha saputo interpretare meglio dell’avversario il rifiuto dei suoi concittadini (come di tutti gli italiani) nei confronti di “quelli che hanno sempre comandato”, poco importa se tra questi e i nuovi vi sono (o non vi sono affatto) notevoli differenze quanto all’efficacia della futura – domani attuale- azione di governo. Comi, invece, aveva alle spalle proprio “quelli là” che sarebbero certamente ricomparsi nella sua futura giunta comunale. A Civitanova Marche, Silenzi ha perso le primarie: Corvatta (gran brava persona) lo ha sorprendentemente battuto per la ragione uguale e contraria a quella che ha determinato la vittoria di Pezzanesi a Tolentino: avanti il nuovo, ad ogni costo. Chi ha governato è stato penalizzato? Può darsi, ma non è una ragione sufficiente a spiegare gli otto punti percentuali di differenza di Tolentino o la vittoria del centrosinistra in una città che, come Civitanova, ha una struttura sociale profondamente mutata rispetto a vent’anni fa. Ragionando con i vecchi schemi della politica (ma anche e soprattutto della società) le conclusioni sarebbero state inevitabilmente le seguenti: Silenzi vince le primarie e le elezioni, Comi sbaraglia Pezzanesi con percentuali bulgare. Oggi questi schemi fanno acqua da tutte le parti e le certezze di vittorie come semplici sommatorie di forze politiche e di liste sono diventate ridicole: sconfinando nell’anconetano, basti pensare alla sconfitta di Melappioni a Jesi ad opera di Bacci che, di fatto o di facciata, ha vinto superando lo schematismo tradizionale (poi, magari, riproponendo vecchi fantasmi con il lenzuolo nuovo…) proponendosi come Sindaco che prescinde sia dal PD che dal PdL. In sintesi: questa tornata elettorale è stata vinta dal nuovo e, in taluni casi, dal vecchio con il vestito nuovo. Sicuramente ha vinto Beppe Grillo con il suo movimento, gli unici ad essere costretti, in occasione dei comizi elettorali, ad affiggere cartelli con la scritta “ingresso libero” per il timore che i cittadini pensassero ad uno show a pagamento: spettacolarizzazione della politica o politicizzazione dello spettacolo?Grillo rappresenta, a suo dire, un anticapitalismo che, se non ho mal compreso, traccia una sorta di “democrazia diretta” dal momento che, nel programma del suo movimento, ripetutamente sottolinea la necessità di una azione di governo diretta da parte dei cittadini in contrapposizione alla vecchia politica, alla “superata” concezione della democrazia rappresentativa. “Il proletariato… ha capito che era suo dovere imperioso e suo diritto assoluto prendere nelle sue mani il proprio destino, e di assicurarsene il trionfo impadronendosi del potere”, scriveva Marx nel terzo capitolo de “l’indirizzo” in riferimento all’esperienza della Comune di Parigi, che rappresenta una tappa importante nell’elaborazione del pensiero politico del filosofo di Treviri. Affascinante esperienza, quella dei comunardi parigini. Epica impresa di resistenza popolare che si protrasse per ben quattro mesi, fino alla resa dettata dalla fame.
Ma, oggi? Come si può tradurre in azione amministrativa quotidiana la partecipazione popolare diretta al governo delle città? Certo, esistono strumenti più o meno validi (bilanci partecipati, assemblee delle associazioni eccetera) ma, nei proclami di Grillo e dei “nuovi che avanzano”, si intende qualcosa di più diretto rispetto a tali strumenti considerati obsoleti e poco efficaci. Portare le scelte dell’amministrazione nel territorio o assumerle con il territorio? Di certo non sarà facilissimo tracciare una linea di netta discontinuità con il modo tradizionale di fare politica soprattutto in quelle città, Parma, che avranno un risalto a livello nazionale in quanto governate da amministrazioni monocolori. Sarà sufficiente la “Carta di Firenze” – una facciata con un elenco di punti programmatici stile volantino elettorale – a tracciare una linea guida per il governo delle città, soprattutto per amministratori per lo più completamente inesperti e, di conseguenza, impreparati? E – a livello nazionale – sarà sviluppato il programma elettorale scaricabile dal blog di Grillo (una decina di facciate) che, così com’è, appare inadeguato addirittura come programma per un comune al di sotto dei quindicimila abitanti?E’ ormai chiaro: non amo i “rottamatori”, non apprezzo il “nuovismo” ad ogni costo, non credo efficace la scelta del pensionamento di massa di tutti i politici solo perché fanno parte del passato, non necessariamente remoto. Da sempre, in questo paese come in tutti i paesi, ci sono buoni e cattivi politici. Ciò che conta è saperli scegliere, magari giudicandoli sulla base delle cose fatte o non fatte, delle promesse mantenute o non mantenute, delle capacità, dell’onestà, del buon senso: di certo, la scelta basata esclusivamente sull’invidia o sul risentimento non contribuirà a migliorare il nostro Paese e le nostre città.

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